Siamo esperti su noi stessi. Nessun altro conosce i nostri pensieri, le nostre aspirazioni o la nostra storia come noi. Tuttavia gli altri ci battono per una cosa: la nostra faccia. Vedono il gioco delle nostre espressioni, e noi no.
Per imparare queste cose, ricorriamo allo specchio.
Vedere quotidianamente la nostra faccia nello specchio è un’esperienza extracorporea.
Ma gli specchi sono sempre stati il terreno su cui lottano l’introspezione e l’illusione. L’immagine che mostrano è vera e ingannevole allo stesso tempo. E’ un’immagine netta, vivida, ma la persona dello specchio non esiste.
Facciamo l’occhiolino, sorridiamo, annuiamo, salutiamo e guardiamo il nostro gemello che, dallo specchio, ci risponde nello stesso modo.
Prima del Rinascimento, la maggior parte delle persone non vedeva mai con chiarezza la nostra faccia. Gli specchi più antichi che conosciamo sono dischi di ossidiana provenienti dalla Turchia, risalenti al 6500-5700 a.C.
Sotto la prima dinastia gli egiziani inventarono i primi specchi metallici di rame, e gli ingegnosi olmechi li realizzavano di magnetite, ematite e pirite di ferro.
Sin dall’inizio lo specchio è stato considerato una stregoneria.
La nitidezza degli specchi moderni ha ucciso la cristallomanzia. A dire il vero già i romani avevano inventato lo specchio di vetro, ma l’immagine riflessa era torbida a causa dello sfondo plumbeo, e quindi i nobili usavano specchi di bronzo.
Furono i veneziani a creare lo specchio moderno. Intorno al 1460 inventarono il primo vetro trasparente, e nel 1507 Andrea e Domenico d’Anzolo del Gallo applicarono su un lato un amalgama di stagno e mercurio creando il primo specchio veramente nitido. L’invenzione fece fiorire a Venezia un’industria renditizia il cui metodo di produzione era tenuto segreto; la città ne mantenne il monopolio per oltre 150 anni.
Negli specchi cerchiamo noi stessi.
Guardando, diventiamo allo stesso tempo la prima e la terza persona, l’osservatore e l’osservato.
C’è chi nello specchio cerca la sua umanità.
Nello specchio perfezioniamo noi stessi. Ci facciamo belli, ci trastulliamo con la nostra immagine nello specchio, sorridendo con compiacenza, con malignità o con timidezza, guardandoci con intensità.
Sperimentiamo le espressioni come degli attori, e cerchiamo di giudicarle come osservatori imparziali. La faccia diventa un materiale malleabile, scolpito dall’interno.
Stranamente può accadere quasi di riflesso di migliorarsi guardandosi allo specchio. Alcune persone si controllano continuamente allo specchio, e si appiccicano subito addosso espressioni attraenti, usando lo specchio come un servo.
Anche quando siamo soli davanti a uno specchio, bariamo con noi stessi.
E l’autoinganno può verificarsi automaticamente. Il cinese Han Fei Tzu affermava che uno specchio in cui non vediamo i nostri difetti è come l’autoanalisi in cui non riusciamo ad ammettere i nostri peccati.
Lo specchio è il simbolo e il piacere della vanità, ed è stato definito il “vetro adulatore”.
Questo Blog è stato realizzato da un gruppo di ragazzi con svariati interessi allo stesso tempo molto affini. Gli interessi vanno dall'arte in generale: decorazione, ritratti, ecc; alla storia: storia della musica, storia dell'arte, storia di un marinaio vissuto durante la II guerra mondiale; alla cultura in generale...
domenica 15 aprile 2007
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1 commento:
Questo è molto interessante!
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