domenica 15 aprile 2007

Il riso come processo espressivo.

L’espressione del volto umano e il gioco dei lineamenti hanno un potere misterioso.
Essi svolgono una funzione essenziale nel contatto fra uomo e uomo, (“comportamento espressivo” o “patognomonica”).
Quando cerchiamo di definire il comportamento espressivo di una persona, facciamo uso di due tipi di dati: le sue reazione involontarie agli stimoli e i segnali ch’egli invia ai suoi simili, perché soltanto una parte del suo comportamento espressivo è diretta verso gli altri, mentre il comportamento nel suo complesso che viene percepito dagli altri e contribuisce a stabilire il contatto sociale. All’espressione intesa come mezzo di contatto, si dà il nome di “linguaggio mimico”.
Facciamo una distinzione fra problemi linguistici e problemi di storia del linguaggio mimico. Nell’ambito di questi ultimi possiamo far rientrare le ricerche di Darwin, che tentò di scoprire le modalità di sviluppo della patognomonica, intesa come strumento di comunicazione, nel corso dell’evoluzione umana. Si tratta di un problema che riguarda la preistoria del comportamento espressivo. Ma anche dopo la sua costituzione, il “linguaggio mimico” non è stato certamente privo di storia. Esso si è differenziato secondo l’età, la posizione sociale, la razza e il periodo storico, al pari del linguaggio dei gesti.
Paragonati a questi problemi di storia e preistoria del linguaggio mimico, quelli strettamente linguistici possono sembrare alquanto più modesti. L’indagine può volgersi in questo caso al vocabolario del linguaggio patognomonico, ai vari tipi di espressione patognomonica, e, nel caso del riso, ai tipi di riso; la risposta a questi problemi rientra nell’ambito di un lavoro di descrizione o classificazione.
Un’altra indagine può avere per oggetto la grammatica patognomonica, e qui il problema è costituito dal modo di formazione di ogni singolo atto patognomonico, nel caso del riso dal modo in cui esso nasce come processo somatico e, soprattutto, patognomonico, il che interessa l’anatomia e la fisiologia della patognomonica.
Infine possiamo rivolgerci alla sintassi in cui s’inquadrano il vocabolario e la grammatica dei processi patognomonici.

Il riso come atto sociale
Alcune persone sono raccolte in una stanza e qualcuno incomincia a ridere: il riso si propaga e diventa atto sociale.
Il riso scoppia, secondo una teoria che ha trovato ripetute conferme quando una certa somma di energia psichica, che è stata sino allora immobilizzata nel controllo di determinate tendenze, diventa improvvisamente inutilizzabile.
Una parte dell’energia psichica liberata deriva da un risparmio nel consumo dell’energia di rimozione, il resto - il piacere ottenuto – deriva da una comune regressione e dai una comune utilizzazione di modi di pensare infantili.
Il piacere ottenuto dalla regressione ci dimostra che l’adulto ha bisogno di un certo impegno di energia, per frenare entro di se i procedimenti operativi del processo primario, che si aprono un varco attraverso i modi di pensare infantili impliciti nel comico dell’adulto.
Il riso è un processo somatico, contraddistinto da due caratteristiche: si esprime in un movimento ritmico, determinato in primo luogo da un’interferenza dei muscoli intercostali nell’espirazione, ed è accompagnato da un eccitamento di tutto il corpo, che è chiaro soprattutto nell’accesso di riso, quando tutta la persona è scissa dalle risa.
Lo scuotimento ritmico del corpo che si osserva nel riso ha segno positivo.
È piacevole, aiuta a scaricare l’energia psichica, obbedisce insomma al principio di piacere.
Nel riso tutto l’organismo diventa “apparato d’espressione”.
Una certa parte almeno dell’energia resa libera per il riso deriva da un risparmio nel consumo dell’energia che sarebbe altrimenti spesa per salvaguardare il nostro “comportamento adulto”, e farci apparire nel “pieno controllo” del nostro comportamento motorio ed espressivo.

Il controllo del riso
Siamo inclini a concederci al riso e a lungo, per la distensione che ci procura.
Il riso appartiene al vasto gruppo dei “divertimenti” che sono anch’essi caratterizzati dalla stessa distensione e dallo stesso volontario sprofondare al di sotto della fastidiosa norma di comportamento quotidiano adulto.
Ci può anche capitare di ridere senza volere; il riso può essere in opposizione all’Io, può coglierci di sorpresa. Ridendo ci indeboliamo; chi ride è indifeso.
Spesso è molto difficile interrompere un accesso di riso, e molto più facile prevenirne l’inizio, controllarlo prima che si scateni.
Il metodo migliore, come tutti sanno, è quello di rivolgere altrove la nostra attenzione: la funzione attentiva dell’Io viene sollecitata a interrompere un processo minaccioso, che altrimenti sarebbe incontrollabile.
Nell’apparato patognomonico esistono due grandi gruppi di azioni sostitutive. Invece di ridere si può fare una faccia seria: così si evita il riso, ma sul nostro volto persiste un’espressione un po’ artificiosa, che deriva da una particolare forma di rigidità.
Le vie che portano alla motilità sono chiuse; ogni guizzo nei muscoli facciali è bloccato che di essi s’impadronisca il riso.
L’altro sistema è più sottile: se il primo può essere definito una deviazione completa dell’io, questo ci colpisce come una battaglia vittoriosa, in cui il desiderio di ridere risulta dominato e si riduce a un sorriso.
Oltre al riso quindi c’è anche il sorriso che esprime invece una gioia moderata, una misura controllabile ed è quindi una testimonianza del trionfo dell’Io.

Alcuni disturbi tipici del comportamento espressivo
Per cominciare ricordiamo Freud secondo cui il controllo dell’Io sulla motilità è così saldo da resistere all’urto della nevrosi e da rompersi unicamente in caso di psicosi.
Diciamo prima di tutto che questi disturbi possono colpire due funzioni fondamentali dell’Io.
La prima concerne l’integrazione dei singoli impulsi patognomonici; la seconda interessa la successione temporale del processo patognomonico.
L’integrazione di un singolo impulso patognomonico spesso non può avvenire perché ostacolata dall’Io; i casi nei quali si reprime un’espressione, si soffoca un dolore fisico, e in genere tutti i casi in cui vogliamo celare quello che succede dentro di noi. E’ chiaro come qui siamo già vicini al confine del patologico, che viene oltrepassato nel momento in cui il “non rivelare se stesso” diventa una meta istintuale.
Si è spesso osservato che danzatori e acrobati hanno un sorriso singolarmente vacuo e artificioso; questo sorriso dovrebbe accrescere l’effetto dell’esecuzione, dando l’impressione di un risultato ottenuto senza sforzo. Anche qui dunque il sorriso è maschera, vale a dire atto patognomonico sostitutivo, riconoscibile come tale in quanto sospinge a lato un’altra espressione.
L’esempio è interessante perché ci consente di capire come mai il sorriso non risulta convincente. L’esame della posizione patognomonica rivela che la nostra impressione di un “sorriso vacuo, artificioso” nasce da una “falsa innervazione” sia di un ramo del muscolo zigomatico sia, del muscolo orbicolare che risulta contratto anziché rilassato.
L’artificiosità del sorriso deriva dunque del fatto che a sorridere è soltanto la bocca; il sorriso non si ripercuote sulle altre parti del viso. In breve, in questo caso manca l’integrazione di impulsi patognomonici che hanno direzioni differenti.
Per esempio, il riso o il sorriso che coglie una persone che sta facendo le condoglianze rappresenta un’autentica deviazione dell’atto patognomico, cioè una parapatognomia.
Gli aspetti dinamici del processo sono agevolmente individuabili: si tratta di un atto mancato nell’ordine patognomonico.
Gli impulsi contrastanti non hanno trovato un’integrazione reciproca. Possiamo però indicare che questa è anche una delle origini della smorfia.
Il modellamento che l’atto fisiologico della risata subisce per opera dell’Io è una chiara conferma della tesi secondo cui qualsiasi processo di formazione e strutturazione del materiale psichico dev’essere considerato funzione dell’Io.
Il linguaggio mimico è illimitato, capace di una grande varietà di espressioni; il suo vocabolario, la sua grammatica e la sua sintassi sono straordinariamente ricchi, e questa dovizia è tanto più sorprendente in quanto la patognomonica è poverissima di termini corrispondenti alle radici verbali. Il riso, situato al limite tra comportamento espressivo e comportamento intenzionale, acquista il proprio significato di azione espressiva.

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