Questo Blog è stato realizzato da un gruppo di ragazzi con svariati interessi allo stesso tempo molto affini. Gli interessi vanno dall'arte in generale: decorazione, ritratti, ecc; alla storia: storia della musica, storia dell'arte, storia di un marinaio vissuto durante la II guerra mondiale; alla cultura in generale...
sabato 19 maggio 2007
La passione incatenata
La figura di un individuo che – nella realtà e nell’immaginario della nostra e di altre culture – costituisce la pietra di paragone dei valori e delle virtù.
Più che un eroe della conoscenza fine a se stessa,egli è spesso un campione della “vita buona”, un esempio di fermezza, di lucidità e di coraggio.
Capace di sfidare la sorte, si rende invulnerabile ai suoi colpi a alle sue lusinghe.
Salvaguarda così la propria coerenza e integrità, resistendo vittoriosamente alla pressione, altrimenti intollerabile,delle passioni proprie e della volontà altrui, e rimanendo incrollabilmente (ma intelligentemente) fedele alle proprie decisioni, perché fondate su ragioni argomentabili e ponderate.
Diversamente dalle moltitudini che vivono in un’atmosfera di paura e che subiscono il fascino della speranza.
Egli è libero da tali perturbazioni dell’animo.
Le sue passioni sono disciplinate, duttili o sottomesse.
Quelle del volgo – di fatto – ribelli, ostinate e indomite.
Remo Bodei
E così (poe) sia
Se il cuore si lamenta
la mente lo rincuora.
La mente si accontenta
il cuore tenta ancora.
La mente raramente
rammenta ciò che ignora
e mente assiduamente
al cuor che s’innamora.
Ma un cuore che si spezza
non sente più ragione,
la mente scende al cuore
per chieder spiegazione.
Ma intanto
il cuore sale dal centro del torace
e va verso la mente
per darsi un po’ di pace.
Nel mezzo del cammino
su un groppo che c’è in gola
la mente incontra il cuore
lo ascolta e lo consola.
Gemelli Ruggeri
Consapevolezza e razionalità : la ragione
La ragione sarebbe quindi la capacità di scegliere consapevolmente tra comportamenti utili e comportamenti svantaggiosi. In base a questa assunzione esisterebbe una stretta relazione o una coincidenza tra il concetto stesso di razionalità e quello di consapevolezza.
È un processo tipico della specie umana e quindi distingue l’uomo dagli animali; attraverso esso, per es., l’uomo “sa” di vivere, a differenza dell’animale, che “avverte” di vivere.
Dal punto di vista filosofico la “ragione” è la facoltà opposta alla sensazione e alla percezione ed è fondamentale per la formulazione di concetti costituenti i nessi generali e necessari su cui stabilire la conoscenza.
La normalità di un individuo è basata sull’equilibrio armonico di ragione e passioni, di agonisti e antagonisti chimici della neurotrasmissione, che si modulano reciprocamente in modo da impedire che gli uni prendano il sopravvento sugli altri. Una sorta di controllo incrociato che dà conto dell’influenza della razionalità sulle emozioni, e delle emozioni sulla razionalità.
La malattia mentale sarebbe dunque il risultato di uno squilibrio: per difetto o per eccesso di neurotrasmettitori, per difetto o per eccesso di passioni, per difetto o addirittura per eccesso di ragione.
Date le “infinite gradazioni della normalità”, stabilire quale sia l’equilibrio psichico “sano” e quindi definire la malattia mentale, è spesso molto difficile.
La ragione è, e può soltanto essere, la schiava delle passioni.
David Hume
Il cervello: centro di controllo
Oggi sappiamo che le diverse componenti del comportamento umano, percettive, cognitive, motorie, emozionali, sono elaborate ciascuna da numerosi centri e circuiti che agiscono in serie e in parallelo, secondo livelli crescenti di complessità.
Le funzioni cognitive superiori ( la “ragione” ) sembrano appannaggio di quelle aree neocorticali che si sono sviluppate più recentemente nella scala evolutiva, mentre gli aspetti istintivi e ancestrali del comportamento sembrano regolati da zone più profonde e arcaiche. Tale classificazione vede nel sistema libico il punto d’incontro fra passionalità e razionalità, il luogo in cui prendono forma le componenti più “cognitive” dell’emotività e dell’affettività.
Il sistema libico riunisce diverse strutture evolutesi in una fase intermedia, per lo più derivate dal rinencefalo, e principalmente l’ippocampo, l’ipotalamo, l’amigdala e parte del talamo. Pur rappresentando meno dell’1 per cento della massa cerebrale, l’ipotalamo ha un’importanza eccezionale, in quanto è il centro di comando di tutto il sistema endocrino, nonché del sistema nervoso vegetativo. Attraverso la modulazione dell’azione ormonale e le vie nervose discendenti verso il midollo, controlla l’espressione “palese” delle passioni: battito cardiaco, respirazione, sudorazione ecc. Chiamato anche “cervello dell’ambiente interno”, esso comprende una serie di centri che presiedono ai principali comportamenti istintivi: piacere/ripugnanza, fame/sazietà ecc.
Il sistema libico è funzionalmente connesso a centri “superiori” quali la corteccia prefrontale, l’area di più recente sviluppo evolutivo, che ha un ruolo di primo piano nell’elaborazione cognitiva dell’emozione e della motivazione.
Lo straordinario sviluppo della corteccia nell’uomo non sarebbe soltanto uno sviluppo delle sue capacità cognitive, ma anche un’estensione della sua componente emotiva e motivazionale e delle sue capacità affettive.
Odi et amo
( Ti odio e ti amo )
Perché io lo faccia forse ti chiedi,
non lo so, ma accade,
lo sento e mi tormento…………
Sigmund Freud…
da una struttura dualistica
(e autocontraddittoria):
da una parte le pulsioni premono per emergere alla coscienza, dall’altra l’incapacità di ogni individuo di accettare la parte istintuale del proprio essere
(assieme alla necessità di controllare i propri desideri imposta dalla civiltà)
fa sì che la salute psichica si riduca a un fragile compromesso fra le esigenze di ordine e autocontrollo imposte dalla coscienza e le pulsioni vitali mosse dal principio del piacere, teso alla realizzazione immediata e totale del desiderio.
Remo Bodei scrive…
Segno manifesto di un potere estraneo alla parte migliore dell’uomo, lo dominerebbero, distorcendone la chiara visione delle cose e sviandone la spontanea propensione al bene.
Agitato, lo specchio d’acqua della mente si intorbidirebbe e si incresperebbe, cessando di riflettere la realtà e impedendo al volere di scorgere alternative alle inclinazioni del momento.
Di fronte alle molteplici strategie elaborate per estirpare, moderare e addomesticare le passioni (e,parallelamente, per conseguire la signoria su se stessi, rendendo coerente l’intelligenza, costante la volontà, robusto il carattere) pare tuttavia lecito chiedersi se l’opposizione ragione/passioni sia in grado di render conto dei fenomeni a cui si riferisce e se sia giusto, in generale, sacrificare le proprie <
Presupporre energie selvagge e brancolanti nel buio (<
Decretandone la pericolosità e l’incapacità a guidare se stesse, negando loro un intrinseco orientamento e discernimento, si legittima automaticamente la liceità di delegare all’inflessibile potenza imperiale o alla persuasiva severità paternalistica della <
La subordinazione delle passioni a rigide norme razionali umane e a minacciosi comandamenti divini presenta molteplici inconvenienti, teorici e pratici.
Lo scopo del dominio delle passioni è quello di interiorizzare imperativi sociali e culturali, così da corazzare, immunizzare e mitridatizzare l’individuo (centralizzandone l’io e impegnandone attivamente le energie) dinanzi a potenze effettivamente squilibranti che gli si presentano come straniere, ma che da sempre vivono in lui – sono, anzi, lui – e che per giunta quando si incontrano con quelle di altri uomini, posseggono un chimismo virtualmente esplosivo per l’ordine sociale.
Ma gli obblighi imposti dalla morale e dalla tradizione (resi istituzionalmente accettabili da <
Philippe Dubois scrive…
( delle percezioni, dei sentimenti o delle emozioni, come dice Cartesio; elle tendenze, delle inclinazioni, dei desideri e delle avversioni, come scrive l’Encyclopédie – puro affare quindi di pathos, di forze, d’energia: passione-pulsione).
In altri termini, le Passioni in quanto tali appartengono all’ordine dell’inafferrabile e dell’immateriale.
E non si potrà avvicinarle, osservarle, codificarle se non considerandole nella loro “espressione” ( generale e particolare),
cioè laddove esse si esprimono e si imprimono, si marcano e si segnano, lasciano tracce e impronte visibili.
Le Passioni, in fondo, sono una questione di rappresentazione,
un po’ come il vento o la tempesta nella pittura classica,
che si possono dipingere solo grazie alle loro conseguenze rappresentative ( i rami carichi di foglie che si piegano,
la densità e il colore delle nuvole, ecc.).
L’irrappresentabile passionale,
che si può considerare solo nelle sue manifestazioni,
sarà quindi sempre letto, letteralmente ed essenzialmente,
attraverso i suoi effetti sui corpi.
Istinti e passioni
In psicologia per passione s’intende una tendenza in forte tensione, capace di perdurare e dominare attraverso emozioni, immagini, idee e tutte le altre forze dello spirito. Nella passione soprattutto durante la sua fase acuta o dispotica, domina una logica di sentimenti che si distingue da quella razionale.
Sappiamo bene che non è tutto così roboticamente spiegabile, e che le emozioni implicano processi cognitivi non trascurabili: emozione e agire cosciente sono cioè indissolubilmente legati nel nostro cervello. Eppure, fino a mezzo secolo fa la scienza biologica considerava istinto e passione anatomicamente separabili in ammassi di cellule nervose della materia cerebrale.
Gli stati emozionali hanno un’organizzazione estremamente complessa, che collega fra loro varie strutture cerebrali attraverso reti di circuiti spesso bidirezionali. Una massa fatta di nuclei di cellule tra loro geneticamente affini, saldati da ultramicroscopici punti di contatto i quali scaricano nel sottilissimo spazio che separa un neurone dall’altro ( la fessura sinaptica ) rapidissimi trasmettitori di informazione chimica, e nello spazio di microsecondi creano quella sensazione di stato emotivo a noi tutti ben nota. Per questo arrossiamo, proviamo batticuore, senso di disagio, a volte improvvise vertigini o cambi dell’umore.
L’emozione resta per il neurobiologo il realistico prodotto dell’attività concertata di milioni di elementi cellulari del sistema nervoso.
Anche Charles Darwin scriveva, ne “L’origine dell’uomo” ( 1871 ):
“Il fatto che gli animali a noi sottostanti risentano le medesime emozioni che risentiamo noi stessi è tanto evidentemente confermato, che non è necessario tediare il lettore riferendo molti particolari. Il terrore ha la stessa azione sopra di essi come sopra di noi, facendone tremare i muscoli, battere il cuore, rilasciare gli sfinteri, e drizzar i peli”.
Tale serie di modificazioni è scatenata da reazioni neuroendocrine controllate dal sistema nervoso simpatico ( il principale regolatore delle funzioni viscerali) e accompagna l’esperienza emozionale, fatta anche di elementi cognitivi e di segnali di comunicazione fra individui della stessa specie volti a trasmettere istinti e passioni.
I metodi di studio dell’espressione delle emozioni nell’ Homo sapiens hanno risentito di studi sul comportamento animale. L’espressione di emozioni quali paura, gioia e collera può venire accuratamente valutata mediante la caratterizzazione dei gruppi muscolari implicati nelle mimiche facciali tramite il sistema di codificazione delle azioni facciali oppure quello che discrimina i movimenti del viso.
Se nell’uomo istinti e passioni seguono canoni soprattutto culturali, anche negli animali risposte fino a ieri considerate puramente “istintive” – e dunque immutabili perché inscritte nel patrimonio genetico della specie – si dimostrano in verità modificabilissime una volta accortamente penetrati i fattori determinanti che li scatenano.
Lo studio dei moti dell’anima, e delle loro manifestazioni visibili sul volto umano, ha dato vita a una lunga tradizione di “Trattati delle Passioni”. È soprattutto con Cartesio, e con il suo Trattato delle passioni dell’animo del 1649, che la classificazione sembra assumere una struttura completa e definitiva. Nella teoria cartesiana, sei diverse passioni fondamentali giocano nell’animo e sul viso dell’uomo: l’ammirazione, l’amore, l’odio, il desiderio, la gioia e la tristezza.
Introduzione : le emozioni
Il discorso sulle emozioni è chiaramente centrato sull’amore, il “primo” tra tutti i sentimenti, e prende il via dall’interpretazione stessa del nome che designa il sentimento, eros, e gli amanti, amanti eroici.
Le emozioni provocano delle reazioni psicosomatiche.
Il pallore è determinato dal fatto che nei momenti di disperazione il calore del corpo scende verso il centro dell’organismo, raggelando le zone cutanee.
Il sospirare è causato dal fatto che quelli che hanno qualche passione stanno con tutto l’animo a quella cosa che dona dolore.
Il venir meno è occasionato dal soffocamento temporaneo se il cuore non richiama l’anima.
Le lacrime sono il prodotto dell’eccessivo calore interno che spinge fuori dagli occhi l’umido naturale.
Le reazioni emotive, proprio perché non rispettano l’ordine gerarchico che vuole che il cervello, essendo la parte alta, abbia sempre il controllo sul resto delle funzioni psicomotorie, tendono a sobillare l’ordine naturale.
giovedì 26 aprile 2007
La seconda guerra mondiale
Guerra combattuta dal 1° settembre 1939 all’8 maggio 1945 in Europa e dal 7 dicembre 1941 al 2 settembre 1945 in Asia. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l’evento bellico interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili.
La sua conclusione segnò l’avvento di un nuovo ordine mondiale incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Verso la seconda guerra mondiale
La Germania nazista stava attuando la prima fase del suo progetto di un nuovo ordine internazionale che prevedeva l’espansione territoriale tedesca e l’asservimento degli altri popoli. La prima fase fu quella di costituire un sistema di alleanze tra cui l’alleanza con la proclamazione dell’Asse Roma-Berlino (ottobre 1936).
L’Italia fascista di Benito Mussolini si stava sempre di più legando alla Germania nazista di Adolf Hitler.
Il 22 maggio 1939 fu firmato il “Patto d’Acciaio” tra l’Italia e la Germania. I due Stati si impegnarono a prestarsi reciproca assistenza in caso di guerra sia difensiva che offensiva.
Il 23 agosto 1939 fu firmato un patto di non aggressione tra la Germania e l’Unione Sovietica, chiamato patto Ribbentrop-Molotov, in cui la Germania si assicurava la neutralità russa e la Russia poneva le premesse per un’eventuale espansione verso occidente.
Scoppia la guerra
Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche entrarono in Polonia e senza che i difensori potessero opporre altro che il coraggio e lo spirito di sacrificio, i Tedeschi applicarono la strategia della “guerra lampo”, con terrificanti bombardamenti ai quali venne sottoposta la popolazione civile (guerra totale), e in poche settimane completarono l’occupazione della Polonia occidentale. Intanto Stalin il 17 settembre 1939 con le armate sovietiche occupò la Polonia orientale.
Chiuso in una morsa , l’esercito polacco fu costretto dopo dieci giorni ad arrendersi: la capitale Varsavia era rasa al suolo e l’intera struttura politico-amministrativa distrutta. In meno di un mese lo Stato polacco cessò di esistere: il suo territorio fu diviso fra la Germania e la Russia.
Due mesi dopo l’esercito sovietico invadeva anche le repubbliche baltiche dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania e attaccava la Finlandia.
Hitler allo scopo di assicurarsi le più ampie basi d’attacco contro l’Inghilterra, con una fulminea aggressione s’impadroniva della Danimarca e della Norvegia. Quindi il 10 maggio le armate tedesche, dopo aver violato la neutralità dell’Olanda, del Belgio e del Lussemburgo, penetravano in Francia, aggirando la formidabile linea Maginot (sul confine franco-tedesco). Nel giro di pochi giorni tutta la costa della Manica fu in mano tedesca, mentre il corpo di spedizione britannico sbarcato nel frattempo sul continente era sconvolto e decimato e costretto riprendere precipitosamente il mare a Dunkerque (ritirata di Dunkerque) sotto gli attacchi di aerei tedeschi.
L’Italia era rimasta sino ad allora fuori dal conflitto, avendo il Consiglio dei ministri proclamato il 1° settembre 1939 la “non belligeranza”. Il 10 giugno 1940 anche Mussolini decise di entrare in guerra dichiarando guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Il 22 giugno, dopo l’occupazione di Parigi da parte nazista, il capo del governo francese ( il vecchio maresciallo Henri Pétain) era obbligato a chiedere l’armistizio. La Francia settentrionale divenne zona di occupazione tedesca, la Francia meridionale era affidata al governo Vichy .
Il 24 giugno anche l’Italia firmava l’armistizio con la Francia.
Hitler, sconfitta la Francia, impegnò a fondo l’apparato bellico tedesco contro l’Inghilterra. L’8 agosto Hitler, deciso a piegare al più presto l’avversario, dette inizio ad una serie di bombardamenti a tappeto sulle installazioni militari e sulle più importanti città dell’isola. Ma né le rilevanti perdite umane subite, né le paurose distruzioni riuscirono a fiaccare la volontà di resistenza del popolo inglese e della sua aviazione che si andò rapidamente rafforzando grazie all’impiego del “radar”. Così la capacità di resistenza inglese ebbe la meglio e la “battaglia d’Inghilterra” si risolse l’ottobre 1940 in un insuccesso per i Tedeschi. A guidare con tenacia la resistenzae la ripresa militare fu Winston Churchill (primo ministro inglese ).
Il 27 settembre 1940 Germania, Italia e Giappone stipulavano il “Patto tripartito”. Con tale patto le tre potenze si impegnavano a predominare su tutti gli altri popoli asiatici ed europei, con un rigido sistema di gerarchizzazione politica e socio-economica, destinato a sfociare in una vera e propria spartizione del mondo.
A questo punto Mussolini, spinto da motivi di prestigio, il 28 ottobre 1940 attaccò dall’Albania la Grecia, ma l’impresa si rivelò fallimentare e i Greci nella controffensiva penetrarono in territorio albanese.
L’Inghilterra con una decisa avanzata dall’Egitto riuscì a penetrare in Libia, mentre altri reparti inglesi in Africa orientale occupavano la Somalia, l’Eritrea e l’Etiopia. L’11 marzo 1941 il presidente americano Roosevelt fece approvare la legge “affitti e prestiti”, che servì a finanziare lo sforzo bellico dell’Inghilterra.
L’obiettivo fondamentale del nazismo restava pur sempre la distruzione dello Stato comunista, ecco perché, il 22 giugno 1941, Hitler dette il via all’operazione Barbarossa, ordinando alle sue divisioni di attaccare l’Unione Sovietica. L’avanzata nel territorio sovietico da parte delle colonne motorizzate germaniche, appoggiate da un corpo di spedizione italiana fu rapida e travolgente.
A metà ottobre, con il sopraggiungere dell’inverno piuttosto in anticipo sul previsto, l’avanzata restò bloccata senza che potesse essere attuato il progetto di attaccare Mosca.
Nel frattempo mezza Europa era dominata dalla Germania.
In particolare i Tedeschi organizzarono con crudeltà lo sterminio degli Ebrei mediante deportazioni in massa, lavori forzati, torture, quasi sempre destinate ad avere la loro tragica conclusione nelle camere a gas o nei forni crematori dei campi di concentramento. Il mito della superiorità della razza ariana è un elemento fondamentale della teoria dello Stato nazista ed aveva come fine la conservazione e l’affermazione della razza superiore.
Il 14 agosto 1941 il primo ministro inglese Churchill e il presidente statunitense Roosevelt si incontrarono su una corazzata nell’Atlantico, al largo dell’isola di Terranova, e concordarono un piano per il riordinamento del mondo sulla base di alcuni fondamentali principi ispirati alla libertà e alla democrazia e da realizzare dopo la distruzione della tirannia nazista: nasceva così la Carta Atlantica, con la quale si fissavano gli elementi ideali e politici per una pacifica convivenza e una feconda collaborazione fra i popoli e per l’esclusione della guerra. Sulla base di tali presupposti e delle “quattro libertà” venne firmata il 1° gennaio 1942 a Washington una Dichiarazione delle Nazioni Unite e creata successivamente l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite).
Il 7 dicembre 1941 il Giappone, con quattrocento aerei attaccò e distrusse, a Pearl Harbour nelle isole Hawaii, la flotta americana del Pacifico. Le ragioni dell’attacco giapponese furono: assicurarsi il controllo del Pacifico centro-orientale e aprire la via alla realizzazione della costituzione di una “grande Asia” sotto l’agemonia giapponese. L’azione giapponese determinò l’immediato intervento degli Stati Uniti.
Della primavera estate del 1942 furono i successi germanici in Unione Sovietica, ove le truppe naziste, occupata la Crimea e superato il Don, giunsero ad investire il grande centro industriale di Stalingrado.
Nei giorni 3-4 novembre 1942 fu fermata ad El Alamein, in Africa settentrionale, l’avanzata delle truppe dell’Asse, e fu successivamente avviata un’offensiva anglo-americana che portò alla resa delle forze italiane. Il 2 febbraio 1943 si concludeva la battaglia di Stalingrado con la resa della VI armata e l’inizio della controffensiva russa.
L’Italia era ormai giunta ai limiti delle proprie possibilità di resistenza, ecco perché nella Conferenza di Casablanca (Marocco) del gennaio 1943 Roosevelt e Churchill, decisi ad aprire un secondo fronte in Occidente, scelsero come obiettivo dell’attacco proprio l’Italia. Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e la conquistarono in poche settimane.
Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Mussolini e chiese che fossero restituiti al sovrano i poteri che lo Statuto gli riservava. Il giorno successivo il re fece arrestare Mussolini e affidò al maresciallo Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo. In questo modo il regime fascista crolla.
L’8 settembre, fu segretamente firmato a Cassibile, nei pressi di Siracusa, un armistizio con gli anglo-americani. All’alba del 9 settembre il re, la corte e il governo abbandonarono Roma e si rifugiarono a Brindisi.
A Roma, dopo il tradimento della monarchia e del governo, alcuni ufficiali tentarono di organizzare la difesa della città.
Il 12 settembre un gruppo di paracadutisti tedeschi liberava Mussolini prigioniero a Campo Imperatore sul Gran Sasso, conducendolo in Germania. Il duce, divenuto uno strumento nelle mani dei Tedeschi, dichiarò di voler riprendere la guerra al fianco dell’alleato e proclamava l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana detta anche “Repubblica di Salò”.
Aveva così inizio in Italia la Resistenza, un movimento di lotta, per liberare il territorio nazionale dalle truppe nazifasciste. Fra il 1943 e il 1945 molti italiani si trovarono divisi in due: i “repubblicani” schierati a fianco dell’alleato tedesco e i “partigiani” ostili alle truppe tedesche di occupazione.
Il 13 ottobre Badoglio dichiarò guerra alla Germania e fu accettato dagli alleati come co-belligerante. L’Italia si trovò divisa in due zone: il Sud occupato dagli Alleati, il Nord occupato dai Tedeschi.
Alla fine di novembre del 1943 si incontrarono per la prima volta Roosevelt, Churchill e Stalin in una conferenza tenuta a Teheran. Il presidente americano e il primo ministro inglese avevano già approvato il piano d’attacco attraverso la Manica (operazione Overlord) e Roosevelt era del parere che si dovesse partire quando le condizioni metereologiche fossero state favorevoli. Stalin si dichiarò d’accordo con Roosevelt e quindi l’operazione Overlord fu programmata per il maggio 1944.
A Bari il 28 gennaio 1944 in un congresso dei partiti antifascisti del Cln (Comitati di Liberazione Nazionale) tenuto con la partecipazione di eminenti personalità, furono concordati il tempo e il modo per far decidere liberamente al popolo italiano quale dovesse essere il suo futuro ordinamento. In quell’occasione venne richiesta l’abdicazione del vecchio sovrano: gli avrebbe dovuto succedere il figlio Umberto il quale avrebbe dovuto rinunciare ai propri poteri delegandoli ad un Consiglio.
Il 12 aprile 1944 ci fu un accordo: in base ad esso il re si impegnava a nominare, al momento della liberazione di Roma, il figlio Umberto “luogotenente del Regno” e a rimettere la scelta fra monarchia o repubblica ad un referendum popolare da tenersi al termine della guerra.
Il 4 giugno 1944 gli Alleati entravano a Roma, e nello stesso giorno Umberto di Savoia era nominato luogotenente generale del Regno, mentre il generale Badoglio veniva esonerato dall’incarico e sostituito da Ivanoe Bonomi, capo del Cln. Le truppe anglo-americane superata Roma, raggiungevano Firenze, già liberata dai partigiani. L’avanzata alleata fu però di nuovo bloccata, allorché venne raggiunta la “Linea gotica”.
Il 6 giugno 1944 le truppe alleate lanciarono la più vasta offensiva marittima della storia. 132.000 uomini, a bordo di 2.000 navi, attraversarono la Manica e sbarcarono in cinque punti lungo la costa della Normandia. Nonostante le avverse condizioni atmosferiche, i soldati riuscirono ad occupare le spiagge con l’appoggio di 23.000 paracadutisti.
Nel mese di agosto ebbe luogo un altro sbarco in Provenza fra Tolone e Cannes, che contribuì a far crollare la resistenza dei reparti germanici. Così a settembre la Francia era liberata e affidata ad un governo sotto la guida del generale De Gaulle.
La conclusione del conflitto
Gli Anglo-Americani passavano il Reno e marciavano verso il cuore della Germania, polverizzando la città tedesche con bombardamenti; i Sovietici, a loro volta, occupavano la Prussia orientale. Il 25 aprile la tenaglia antinazista si chiudeva con l’incontro delle avanguardie americane e sovietiche sull’Elba.
Mentre gli Anglo-Americani il 21 aprile superavano la “linea gotica”, il 25 le popolazioni insorgevano e si liberavano dall’oppressione nazista. Il 27 aprile Mussolini venne riconosciuto da una formazione partigiana preso Dongo e il 28 aprile fucilato a Giulino di Mezzegra sulle rive del lago di Como.
Il 30 aprile Hitler si suicidava nei sotterranei della Cancelleria del Reich e il 7 maggio 1945 a Reims nel quartier generale del comando supremo americano anche la Germania sottoscriveva la resa.
Per anticipare la fine del conflitto, Roosevelt, Churchill e Stalin decisero di riunirsi tra il 4-11 febbraio 1945 a Yalta (Conferenza di Yalta), una città dell’Unione Sovietica. Nel corso della conferenza vennero prese alcune importanti decisioni sul comportamento da tenere dopo la disfatta della Germania nazista e sull’entrata in guerra dell’Unione Sovietica contro il Giappone.
Per vincere la resistenza giapponese il presidente americano Harry Truman decise di utilizzare la bomba atomica. Il 6 agosto 1945 una bomba atomica venne sganciata su Hiroshima (base militare giapponese) provocando una catastrofe senza precedenti.
Tre giorni dopo il 9 agosto 1945 una seconda bomba distrusse Nagasaki.
Il 2 settembre 1945 a bordo della corazzata americana “Missouri” ancorata nella baia di Tokio, il Giappone firmava l’atto di resa.
La Guerra Fredda
Dopo la seconda guerra mondiale la Germania fu divisa in due zone occupate dai vincitori del conflitto. Le regioni occidentali formarono la repubblica federale, la zona orientale, sotto il controllo sovietico, divenne la repubblica democratica tedesca, ebbe così inizio la Guerra Fredda.
Anche Berlino, ex capitale del Terzo Reich, situata nella zona occupata dalle forze sovietiche fu divisa in due parti: Berlino est e Berlino ovest.
Nel 1961 il governo della Germania Est fece erigere un muro tra le due parti della città ( muro di Berlino). Il mondo occidentale, guidato dagli Stati Uniti, si impegnò ad evitare l’isolamento totale di Berlino ovest. Al passo dalla guerra nucleare gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si accordarono, ma il “muro di Berlino”, segno visibile della cortina di ferro, continuò a costituire il fronte simbolico della Guerra Fredda. Solo negli anni ’80 la tensione internazionale si allentò grazie alla politica di apertura praticata dal presidente sovietico Gorbaciov.
Nel novembre 1989 furono eliminate le barriere tra le due parti della città e i cittadini di Berlino ripresero a circolare liberamente; il muro che aveva diviso per lunghi anni la città, venne abbattuto.
giovedì 19 aprile 2007
GLI ORGANI COSTITUZIONALI
Il Parlamento esprime la volontà popolare, fa le leggi, elegge il capo dello stato, accorda la fiducia al governo. Proprio per la sua “centralità”, la nostra è una Repubblica Parlamentare.
La principale funzione del Parlamento è quella legislativa, cioè l’emanazione di leggi costituzionali e ordinarie.
· Costituzionali sono le leggi che modificano o integrano la Costituzione.
· Ordinarie sono le leggi che regolano l’andamento della vita sociale.
Il Parlamento italiano è composto da due camere, che hanno gli stessi poteri, identiche funzioni e una pari durata di 5 anni (bicameralismo perfetto): la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica.
La Camera è formata da 630 deputati. Sono elettori i cittadini che abbiano raggiunto 18 anni (elettorato attivo); sono eleggibili tutti coloro che abbiano raggiunto 25 anni (elettorato passivo).
Il Senato è formato da tre categorie di senatori:
· elettivi: sono 315 e restano in carica cinque anni. Sono elettori i cittadini che abbiano compiuto 25 anni; sono eleggibili coloro che abbiano compiuto 40 anni;
· di nomina presidenziale: sono 5 senatori a vita che vengono nominati dal presidente della repubblica per meriti particolari;
· di diritto: sono gli ex presidenti della repubblica e restano in carica a vita.
Le due camere esercitano la loro attività del tutto indipendenti l’uno dall’altro, salvo alcuni casi.
Le sedute comuni di camera e senato sono dirette dal presidente della camera dei deputati.
La camera e il senato, possono essere sciolti dal capo dello stato prima della scadenza normale, tranne che negli ultimi sei mesi del suo mandato (semestre bianco).
La volontà del Parlamento si manifesta a maggioranza, che può essere semplice, relativa, assoluta e qualificata:
· semplice: quando una proposta ottiene la maggioranza dei voti;
· relativa: nei casi di votazioni per designare una o più persone a determinate cariche;
· assoluta: quando la proposta ottiene almeno la metà più uno dei voti dei componenti della camera o del senato;
· qualificata: quando una proposta riporta un numero di voti corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge.
Le votazioni possono avvenire in due modi: per scrutinio palese (appello nominale e alzata di mano) e per scrutino segreto (con le schede e con l’urna).
I deputati e i senatori non sono perseguibili, per cui, non possono essere sottoposti a sanzioni penali, civili o disciplinari neanche dopo la cessazione dalla carica.
Questa garanzia di insindacabilità, permanente, copre ogni espressione di opinione politica dentro e fuori del Parlamento.
Un’altra garanzia è l’immunità, cioè il divieto di arresto e di perquisizione personale o domiciliare, senza l’autorizzazione della camera alla quale appartengono (autorizzazione a procedere).
Infine le due camere, godono dell’immunità della sede, per cui nessun pubblico funzionario può entrarvi senza l’autorizzazione dei rispettivi presidenti.
Il Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale al di sopra di ogni maggioranza parlamentare e di ogni parte politica.
Quale custode e garante del nostro sistema democratico, può inviare messaggi alle camere; può sospendere la promulgazione di una legge; può sciogliere le camere o una sola di esse. Il presidente interviene con la sua autorità e il suo prestigio nei momenti più difficili della vita del paese, come in occasione di una crisi di governo.
Il capo dello stato è dunque l’organo rappresentativo, di coordinamento e di equilibrio del nostro sistema costituzionale.
Egli viene scelto da un collegio elettorale formato da tutti i parlamentari riuniti in seduta comune, ai quali si aggiungono tre rappresentanti per ciascuna regione (58 delegati regionali). La votazione avviene a scrutinio segreto; ogni elettore può scrivere sulla sua scheda il nome di un qualsiasi cittadino italiano, purché abbia compiuto i 50 anni di età e goda dei diritti civili e politici. Per i primi tre scrutini è richiesta la maggioranza dei due terzi degli elettori; dal quarto scrutinio in poi è sufficiente la maggioranza assoluta.
Il Presidente eletto giura davanti al Parlamento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione. Egli resta in carica 7 anni e può essere rieletto. In caso di impedimento temporaneo, è sostituito dal presidente del senato.
Particolari prerogative sono assicurate al Capo dello Stato, tali da conferirgli il massimo prestigio e la più completa indipendenza. Egli si avvale di funzionari civili e militari addetti alla sua persona che hanno il compito di assisterlo nelle sue funzioni.
Il Governo
Il Governo è il titolare del potere esecutivo ed è l’organo che imprime la direzione politica a tutta la vita dello Stato e del Paese.
Esso è composto dal Presidente del Consiglio e dai singoli ministri. Sia il presidente del consiglio che i ministri sono nominati dal capo dello stato, nelle cui mani devono giurare fedeltà alla repubblica.
La scelta del presidente del consiglio cade sulla persona che goda la fiducia di una ben delineata maggioranza parlamentare.
Il Presidente della Repubblica giunge alla raccolta degli elementi che motivano la sua decisione mediante le consultazioni.
Entro dieci giorni dalla sua formazione, il governo deve presentarsi alle camere per esporre il programma e chiedere il voto di fiducia. La votazione avviene per appello nominale, ossia con voto palese, perché ogni parlamentare deve assumersi la responsabilità dell’atto che compie.
Il presidente del consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile; mantiene l’unità d’indirizzo politico dell’esecutivo, promuove e coordina l’attività dei ministri.
Il consiglio dei ministri ha specifiche attribuzioni: decide su questioni di ordine pubblico e di alta amministrazione. Entro certi limiti ha anche competenza legislativa, in quanto può presentare proposte di legge e può emanare provvedimenti legislativi, che però debbono essere prima autorizzati dal parlamento.
I ministri agiscono nell’ambito del ministero a ciascuno assegnato per attuare le decisioni prese dal consiglio dei ministri. Hanno responsabilità politica, civile e penale.
La Magistratura
La Magistratura è formata dall’insieme dei giudici che hanno il compito di amministrare la giustizia.
I principi fissati dalla Costituzione a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici sono:
· i giudici sono soggetti solo alla legge;
· la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere;
· le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso;
· i magistrati sono inamovibili.
Il consiglio superiore della magistratura C.S.M., presieduto dal capo dello stato, è l’organo che decide tutto ciò che concerne le assunzioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, escludendo ogni interferenza degli altri poteri.
Il consiglio superiore della magistratura, posto al vertice dell’ordinamento giudiziario, è composto di 33 membri.
· 3 di diritto, cioè il presidente della repubblica, il presidente e il procuratore generale della corte di cassazione;
· 30 elettivi, dei quali 20 eletti dai magistrati (giudici togati), 10 eletti dal parlamento in seduta comune (giudici laici).
I giudici elettivi durano in carica 4 anni e non possono essere subito rieletti.
La Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale è un apposito organo creato dai padri fondatori del nostro sistema repubblicano, affinché garantisse i cittadini contro eventuali abusi di potere.
Le decisioni della corte sono richieste dal giudice ordinario. Questi infatti, se nel corso del processo rileva che una legge può essere in contrasto con la Costituzione, si appella alla corte costituzionale perché valuti la questione e stabilisca se la legge è legittima o illegittima.
La corte costituzionale si compone di 15 membri:
· 5 nominati dal parlamento;
· 5 nominati dal presidente della repubblica;
· 5 nominati dai più alti magistrati appartenenti alla corte di cassazione, al consiglio di stato, alla corte dei conti.
Tutti i giudici restano incarica 9 anni. Quando la corte è chiamata a giudicare il capo dello stato, ai quindici giudici normali si aggiungono altri 16 giudici aggregati. Questi sono tratti a sorte da un elenco di cittadini che viene compilato ogni 9 anni dal parlamento riunito in seduta comune.
DALLO STATUTO ALBERTINO ALLA COSTITUZIONE ITALIANA
Lo Statuto albertino fu emanato da Carlo Alberto, re del Regno di Sardegna, il 4 marzo 1848 come “legge fondamentale ed irrevocabile” che sostituiva l’ordinamento monarchico costituzionale alla monarchia assoluta nello stato piemontese. Con la formazione del Regno d’Italia, divenne la legge fondamentale del nuovo Stato e restò in vigore fino al 1 gennaio 1948.
to albertino si componeva di 81 articoli 22 dei quali erano riservati per definire le prerogative del re al quale era attribuito il potere esecutivo, la nominale sovrintendenza del potere giudiziario, la partecipazione al potere legislativo insieme al Parlamento.
Il sistema di rappresentanza era bicamerale: il Senato era composto da membri nominati a vita dal re; alla Camera dei deputati accedevano i rappresentanti della nazione, votati in base a una legge elettorale che non era inclusa nello Statuto. Erano garantiti i diritti fondamentali dei cittadini e l’inviolabilità della proprietà individuale.
Si adattò ai mutamenti sociali e istituzionali che derivarono sia dall’unificazione dell’Italia, sia dall’estensione del diritto di voto, sia dal passaggio nel 1922 dallo stato liberale a quello fascista.
I principi essenziali dello Statuto albertino sono:
· la libertà di pensiero, di parola e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge;
· il potere esecutivo riservato esclusivamente al re; il potere legislativo condiviso con il parlamento; il potere giudiziario affidato a magistrati di nomina regia;
· la responsabilità dei ministri solo di fronte al re;
· la dichiarazione della religione cattolica come “ religione di Stato”.
Lo Statuto era caratterizzato dal fatto di essere:
- una costituzione concessa: lo Statuto non era frutto di una collaborazione con il popolo;
- una costituzione flessibile: lo Statuto poteva essere modificato con leggi ordinarie. La sua elasticità permise il passaggio da una forma costituzionale pura ad una parlamentare; non garantì le libertà democratiche e permise il passaggio al regime fascista in modo formalmente legale;
- una costituzione monarchica: la struttura dello Stato era di tipo monarchico;
- una costituzione rappresentativa: la camera dei deputati era un’assemblea eletta;
- una costituzione confessionale: nella fase iniziale lo Statuto prevedeva come sola religione di stato quella cattolica.
La forma di governo introdotta con lo Statuto albertino non era fondata su una netta separazione dei poteri:
· il sovrano aveva il potere esecutivo;
· il Parlamento, composto da due camere (Camera dei deputati e Senato), condivideva con il re la titolarità del potere legislativo. Le due camere non erano poste su un piano di parità: aveva maggiori poteri la Camera dei deputati;
· ai giudici era affidato il potere giudiziario.
Con le leggi fasciste del 1925, lo Statuto albertino venne notevolmente alterato, al punto da rendere la struttura stessa dello Stato di tipo autoritario-totalitario. La modifica statutaria, finiva per attribuire una posizione di preminenza giuridica al Primo ministro rispetto ai singoli ministri.
A questo importante cambiamento istituzionale seguì, nel 1939, la sostituzione della Camera dei deputati con la Camera dei fasci. In pratica la Camera era formata in parte dai Consiglieri nazionali e in parte dai membri del Gran consiglio del fascismo.
Così la Camera, divenuta assemblea permanente, si formava in seguito alla nomina o alla decadenza dalle suddette cariche, senza dover ricorrere, per il suo rinnovo, a periodiche consultazioni elettorali.
Le riforme legislative in atto determinarono il progressivo instaurarsi di un regime di governo totalitario, basato sul riconoscimento di un unico partito, quello fascista.
La crisi costituzionale seguita alle vicende belliche che sconvolsero il paese si aprì il 25 luglio 1943 con la revoca di Mussolini da capo del Governo; questa fu avviata per iniziativa del re e fu sostenuta dallo stesso Gran consiglio, che affidava in via provvisoria il potere esecutivo al maresciallo Badoglio.
Con il decreto del 2 agosto il re stabilì lo scioglimento della Camera dei fasci accelerando il crollo di un regime.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’Italia restava divisa in due: al nord, ancora in mano ai tedeschi con il regime fascista; al sud, occupato dagli anglo-americani, veniva ripristinato l’ordinamento monarchico.
Per sanare questa frattura, nell’aprile del 1944 si giunse a un accordo tra i comitati di liberazione nazionale e Vittorio Emanuele III, proclamando la tregua istituzionale. Intanto, prima della ritirata delle forze tedesche dall’Italia, il 5 giugno 1944 il re affidava al figlio Umberto la luogotenenza del Regno, attribuendogli i poteri di capo dello Stato. Il luogotenente generale accettò il principio che fosse rimessa al popolo la libera scelta circa la forma istituzionale monarchica o repubblicana, così il 2 giugno 1946 ci fu il referendum, al quale tutta la popolazione italiana fu convocata per la scelta fra monarchia e repubblica, in questo modo fu proclamata la Repubblica. Dopo il referendum, il 25 giugno 1946, si riunì l’Assemblea Costituente (assemblea formata da 556 membri, per approvare la nuova Costituzione repubblicana) che affidò la redazione della nuova Costituzione repubblicana a una commissione formata da 75 deputati, ( suddivisa in tre sottocommissioni, rispettivamente incaricate di elaborare le diverse parti dell’intero progetto costituzionale), che concluse i lavori, in seduta plenaria, il 22 dicembre 1947 con l’approvazione a scrutinio segreto del testo definitivo.
La promulgazione da parte del capo dello Stato provvisorio Enrico de Nicola, dopo cinque giorni, e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, permisero l’entrata in vigore della nuova Costituzione il 1° gennaio 1948.
La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato.
Entrata in vigore il 1 gennaio 1948, fu firmata dal presidente della Repubblica Enrico De Nicola e controfirmata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini.
La Costituzione è composta da 139 articoli e da 18 disposizioni transitorie e finali.
· I principi fondamentali (art. 1-12).
· Parte prima (art. 13-54) riguarda i diritti e i doveri dei cittadini.
· Parte seconda (art. 55-139) è la parte più estesa della Costituzione. In questa sezione sono stabiliti i poteri, la composizione e la nomina degli organi fondamentali dello Stato.
Gli organi costituzionali sono:
· il Parlamento;
· il Presidente della Repubblica;
· il Governo;
· la Magistratura;
· la Corte Costituzionale.
La Costituzione è caratterizzata dal fatto di essere:
- una costituzione compromesso: l’articolazione della Carta costituzionale si fonda sull’accordo fra i diversi partiti del Comitato di liberazione nazionale. Il compromesso raggiunto permette un equilibrio, che dà il giusto peso sia alle esigenze di riconoscere e garantire le libertà sia a quelle di realizzare uno Stato sociale;
- una costituzione lunga: il testo costituzionale indica le linee fondamentali dell’ordinamento dello Stato, definisce i diritti fondamentali, organizza i diversi aspetti della società;
- una costituzione votata: il testo costituzionale è approvato da un’Assemblea costituente eletta dal popolo;
- una costituzione rigida: a differenza dello Statuto albertino, essa può essere modificata solo attraverso un procedimento speciale. Ciò fornisce una garanzia al mantenimento delle libertà democratiche;
- una costituzione laica: tutte le fedi religiose, se in linea con il nostro ordinamento, hanno uguale diritto di esistere e operare sul territorio nazionale;
- una costituzione pluralista: lo Stato riconosce e tutela le diverse forme nelle quali si esprimono le molteplici sfaccettature della società;
- una costituzione liberale; i principi di libertà sono riconosciuti e garantiti dall’ordinamento;
- una costituzione sociale: lo Stato interviene in modo diretto per garantire l’uguaglianza fra i cittadini.
Percorso pluridisciplinare per l'Esame di Stato (per l'Istituto d'Arte)
Materie umanistiche:
Storia: La seconda guerra mondiale.
Sociologia: Dallo Statuto albertino alla Costituzione italiana.
Italiano: L’Ermetismo:
· Giuseppe Ungaretti
· Eugenio Montale
· Salvatore Quasimodo
Storia delle Arti visive: Il Funzionalismo:
· Frank Lloyd Wright
· Alvar Aalto
Ed. Fisica: L’Educazione fisica nel 900, particolarmente nel fascismo.
Materie scientifiche:
Ed. Fisica: Lo Yoga
Fisica: Legge di Coulomb
PERCORSO PLURIDISCIPLINARE PER L’ESAME DI STATO (per Istituto d'Arte)
STORIA: - Dall’armistizio di Salasco (9 agosto 1848) ai governi della
Destra in Italia dopo l’Unificazione.
LETTERATURA: - Introduzione del Positivismo.
- Giosuè Carducci.
STORIA DELLE ARTI VISIVE: REALISMO:
ED. VISIVA:
- COURBET -Ragazze in riva alla Senna (tela 1857).
-Lo studio dell’artista (olio su tela 1854-55).
- DAUMIER -Vogliamo Barabba (tela 1850 c.).
-Il vagone di terza classe (tela 1862).
SOCIOLOGIA: Karl Marx e la critica al sistema economico liberista.
ED. FISICA: - Sistemi e apparati.
- Apparato scheletrico.
FISICA: - Generatori elettrici.
- Effetti della corrente elettrica.
- Prima e seconda legge di Ohm.
MATEMATICA: Derivate.
domenica 15 aprile 2007
Diari di bordo di Vincenzo Monti, imbarcato su un Caccia Torpediniere Carabiniere. Dal 5 luglio 1940 al 29 dicembre 1940.
Dal 5 luglio 1940 al 29 dicembre 1940.
5 luglio)
Non c’era alcun lancio di bombe, e le nostre armi sparavano a ritmo accelerato, l’apparecchio andava velocissimo circa 700 Km orari, alcune raffiche furono ben centrate, ma l’apparecchio pur gravemente danneggiato riuscì a prendere quota e a filarsela. Io rimasi però convinto che quel pilota non tornava più sulle navi italiane.
6 luglio)
Permanenza ad Augusta, giorni più che calmi, ad ogni modo si sentiva, come per istinto, una prossima uscita, ma fino alla mezzanotte non succedette nulla di ciò.
7 e 8 luglio)
Il mattino fu calmo, alle 14 arrivò l’ordine di tenerci pronti a muovere, alle 18 salpammo dal porto di Augusta insieme a molti incrociatori, a altri C.T.. Noi avevamo il compito di scortare gli incrociatori da battaglia. In sul calar del sole si univano a noi altri incrociatori con altri C.T.. Cala la notte, tutto è silenzio, la navigazione prosegue regolarmente fino al mattino dell’8 luglio. All’alba sapemmo che poco lontano da noi si trovava la prima squadra, composta dalle corazzate Cesare e Cavour, con altri C.T.. La nostra era quella di guardare le spalle ad un grosso convoglio, nello stesso tempo, di incontrare il nemico e dargli battaglia, alle 14 dell’8 luglio la prima missione finiva felicissima.
Dirigemmo la nostra prua a levante dove trovammo qualche avamposto delle forze nemiche che fu da noi attaccato e bombardato. Non fu possibile precisare se fu affondato, perché dovemmo proseguire la nostra rotta. Poco dopo un aereo faceva capolino sulle nostre corazzate, che da poco si erano unite a noi, ma il pronto e efficace intervento delle batterie antiaeree, costituite da cannoni di cento millimetri e da un grosso mitragliere, sventavano l’attacco. Dopo pochi minuti venivamo attaccati di nuovo, ma la sempre crescente e efficace reazione antiaerea e la pronta manovra dei nostri comandanti, rendono vano ogni tentativo. La notte passa senza ulteriori incidenti.
9 luglio)
Ormai sentivamo tutti che il nemico era poco lontano da noi, così ci preparavamo alla battaglia, una calma d’eccezione regnava su tutti. Dalle ore 11 eravamo al posto di combattimento, aspettavamo ……..
Ero al punto più basso della nave, non udivo nulla, mi davano compagnia tre marinai dei quali, due richiamati e una recluta del ’19, ero il più giovane e pure ne ero il capo. Con modeste parole spiegai loro l’alta responsabilità che avevamo tutti. Mi ascoltavano, sembravano pronti al loro lavoro come non mai. Per sentire qualche cosa inserii il telefono che comunicava con il complesso, e appresi queste parole:” Aerei di poppa”. Non mi spaventai affatto, intanto le armi antiaeree aprivano un fuoco infernale, abbattendo cinque su quindici aerei, erano questi idrosiluranti, i quali cercavano di penetrare nella formazione, ma la sagacia dei nostri comandanti, rendevano vane le loro pericolose missioni. Dalle nostre navi si catapultavano degli aerei da ricognizione, essi ci fornivano la rotta esatta del nemico, la grande flotta del re Vittorio, io gli andavo incontro con fiduciosa certezza di vittoria.
Alle 14,10 sento sempre per telefono, che il mio amico aveva lasciato inserito: “ Avvistamento a dritta, distanza 26000 metri, fronteggio 60 gradi”. I motori dei complessi si sentono partire, non riferivo nulla ai compagni. Intanto, le prime navi incrociatori partono, si susseguono a loro quelle delle corazzate, le quali si facevano ben distinguere dalle altre. Il silenzio regnava da circa cinque minuti, i C.T. sono destinati a proteggere le grosse navi con cortina di fumo. La velocità è la massima, 38 nodi, intanto terminava la sparatoria dei grossi calibri. Il mio amico mi chiedeva:
“ Pronto a rifornire ? “, io risposi: “ si, va all’attacco” , poi sottovoce mi disse:” Una corazzata Inglese è in fiamme”. Chiamò l’agente e disse:” Teniamoci pronti”, non passarono cinque minuti che il primo colpo parte, la noria girava ed io caricavo con calma, la velocità era massima. Continue accostate rendono un po’ difficile questo lavoro, ma la nostra agilità vinceva ogni ostacolo, le pistolate dei nostri cannoni partivano regolarmente, ne sparammo nove per bocca. Contro di noi sparavano quattro unità leggere, perché quando noi andammo all’attacco, le grosse unità ripiegavano da ambo le parti, i C.T. sostenevano il duello. Numerosi colpi cascati nelle nostre vicinanze ci lasciano illusi, mentre non so ciò che avvenne loro.
Quando il nemico fuggiva noi giravamo le nostre navi per rientrare, eravamo già esausti di forze, molto di più di rifornimenti, la nafta restata era pochissima, l’acqua per bere ci fu tolta perché faceva bisogno alle macchine. La sera non si pensò a far da mangiare ma bensì a preparare munizioni per le mitraglie, le quali avevano sparato circa 3500 colpi, quasi tutto il rifornimento a portata di mano. Gli attacchi aerei erano ripetuti, l’ultimo fu fatto nella penombra, orario pericolosissimo perché oltre a non distinguere l’aereo, non si distingueva neppure la qualità degli armamenti di offesa che esso ci lancia ( bombe, siluri, ecc.. ), ma la stanchezza si notava in loro, non appena entrato nel raggio d’azione, lasciavano giù le bombe alla buona, dove andavano, andavano. In porto qualche chiacchiera e poi a dormire. Era circa mezzanotte, mi sentivo stanco ma felice, recitai una piccola preghiera per ringraziare il Dio della bella vittoria concessaci e poi pregai per i cari fratelli in special modo per quello in Africa, poi per i cari familiari. Mi addormentai.
10 luglio)
Il proverbio dice:” Non mai riposare sulla vittoria di ieri, ma pensa a quella di domani”. Infatti, non un minuto dopo fu fatta la sveglia, eppure andammo a letto tardi, non fu affatto pensato a poi. Misi a posto le armi e munizioni, tutto fu fatto per tempo, fin dalle 5 eravamo al nostro posto, nel modo che alle 8 eravamo pronti a muovere. Nelle prime ore del pomeriggio imbarcammo ancora del materiale di consumo, quindi salpammo l’ancora alle 16, diritti a Napoli. Fu questa una bella navigazione, datosi la rotta che facemmo, come pure le condizioni del mare che incontrammo, però anche questa navigazione mi fece provare un po’ d’emozione.
Dopo circa un’ora di navigazione, la plancia avvisa un sommergibile, gli diresse la prora addosso per speronarlo, nello stesso tempo un falso periscopio trovasi a dritta a circa 200 metri di distanza. Alcuni gridavano:” Sommergibile in vista”, ma il comandante prosegue, lui già sapeva di che cosa si trattava, era un bastone, mentre noi non aspettavamo altro che il siluro. Null’altro da segnalare fino al mattino.
11 luglio)
Arrivammo a Napoli alle 7 del mattino, potemmo assicurarci della bella vittoria riportata, perché la radio ne parlava, le prime pagine dei giornali erano dedicate tutte alla battaglia navale. Noi restammo calmi, ma eravamo fieri di aver potuto mostrare finalmente ciò che eravamo capaci di fare.
12 e 13 luglio)
Furono veramente delle belle giornate per me, ambo le sere mi recai a terra divertendomi moltissimo, datosi che Napoli è una città che non lascia a desiderare. A bordo tutto si svolgeva nel modo più perfetto.
13 luglio)
Al mattino ci fu un discorso del comandante, il quale ci illustra come si erano svolte le azioni, dopo di lui, il capo squadriglia, il quale ci lodava per il coraggio, e la freddezza con cui avevamo praticato il combattimento, ma nello stesso tempo ci ricordava che la guerra non era finita, e che a quella dovevano susseguirsi altre vittorie, forse più dure e che potevano costare anche la morte, per la gloria dell’Italia Imperiale. Alla sera fummo chiamati a partire di nuovo, ci recammo a Messina; nessun incontro.
dal 14 al 29 luglio)
Giorni di poca attività, restammo inattivi per tutto questo tempo, ricordando però che eravamo in guerra, e per questo si preparavano armi, macchine, tutti i congegni che costituivano gli apparecchi per la direzione del tiro ecc.. . In questo periodo è da ricordare l’eroica fine dell’incrociatore Colleoni, il quale destinato insieme ad altre unità alla scoperta di un convoglio diretto a Tobruch ( Libia) veniva assalito da forze soverchianti per numero e per mezzi, ma per questo, insieme alla nave sorella Giovanni dalle Bande Nere, non rifiutava battaglia, mentre da altre unità si facevano proteggere e mettere in salvo le navi trasporto. I nostri incrociatori ingaggiavano battaglia con quattro navi caccia nemiche, le quali furono respinte; ma a questo attacco ne segue un secondo, ed ora il nemico assaliva le nostre con due incrociatori da 10000 tonnellate, protetti da forti corazzate, insieme ai quattro caccia, ma per questi i nostri comandanti non si impressionarono a fatto, e quindi alla pugna, destinarono i 152 contro gli incrociatori pesanti, i pezzi da 100 contro i caccia. Le nostre unità sfruttando la loro velocità resistevano all’impeto nemico per circa tre ore, infliggendo loro gravi perdite. Infine, il Colleoni ebbe un’avaria in un organo vitale, restando immobilizzato e quindi fu sottoposto a una serie di colpi, ma per ciò lo spirito della nostra gente non si abbassava, continuarono a far fuoco, finché l’acqua non invadeva la coperta. Intanto, l’altro incrociatore fu costretto a ripiegare perché ormai si trovava da solo, non valeva la pena sacrificare un migliaio di uomini con una delle più belle unità della flotta. Con questo episodio si può rilevare quale sia la qualità marinara della nostra gente, la quale, per salvare alcuni piroscafi carichi di materiale, andavano loro alla morte volontariamente. Molta gente morì, tra cui il comandante, questo però fu tratto in salvo, ma in seguito alle ferite riportate durante la battaglia, dopo 24 ore morì sulla sua cara nave. Lui si chiamava Umberto Navaro.
dal 30 luglio al 2 agosto)
Alla sera del dì avanti andai a letto tardi, nessuna voce in giro che si doveva uscire, ma ciò si prevedeva da giorni, perché a Messina si trovavano tre piroscafi di notevole grandezza, essi erano carichi di truppe destinate in Africa settentrionale.
Al mattino mi svegliai qualche minuto prima dell’orario, sentivo qualcosa di nauseante, non sapevo da dove venisse quest’odore poco piacevole, me lo avvertiva l’amico che dormiva alla mia sinistra, dicendomi:” Monti, lo sai che fra un’ora si esce ” , la notizia subito passa di branda in branda, fu un lamento generale, perché tutti immaginavano quanto era straziante la missione che ci veniva affidata. Ad ogni modo ci preparammo nel minor tempo possibile. Alle ore 6,05 del 30 luglio salpammo l’ancora, con una rapidissima manovra, fummo fuori lo stretto, credevo che dopo aver fatto una scorrazzata, uscivano i piroscafi, ma non fu nulla di ciò. Si filava a tutto vapore, circa 30 miglia all’ora, da quanto potei orizzontarmi attraverso la bussola eravamo diretti ad Augusta o Catania, infatti, dopo un’ora di navigazione si rallenta improvvisamente, mi guardo intorno, vedo l’Etna con un manto di verde e un pennacchio di fumo, dunque eravamo a Catania. Dal porto uscivano una fila di piroscafi, li contai erano sette in tutto, essi portavano ogni sorta di materiale bellico, tra cui auto blinde, carri armati, motociclette armate con mitragliere, ecc.. . Intanto la squadriglia di Caccia Torpediniere, incrociavano instancabilmente le acque del golfo, alcuni apparecchi da ricognizione ci aiutavano nel servizio di scoperta di qualche sommergibile, nello stesso tempo il convoglio avanzava prendendo la dovuta rotta. Alcuni incrociatori e Caccia Torpediniere si scorgevano all’orizzonte, essi avevano il compito di raggiungerci, infatti, dopo pochissimo prendemmo contatto. In qualche momento incominciava una navigazione di notevole lentezza, non si percorreva di più di 10 miglia all’ora, si camminava a zig zag per meglio difendere il convoglio da qualche attacco di sommergibili. Questa estenuante andatura è durata fino alle 19, a tale ora quattro caccia con quattro incrociatori con altri piroscafi si scorgevano all’orizzonte. Ben presto prendemmo contatto ma non ci fu possibile mantenerlo, perché i piroscafi da noi accompagnati non facevano più di 10 miglia orari. Fino al mattino la navigazione prosegue regolarmente.
In sul calar del sole si aumenta la velocità, ci accostammo qualche grado a dritta, dopo un’ora di navigazione a briglia sciolta, si scorsero le altre unità. Subito avemmo informazioni, le nostre prore erano dirette a levante, si avanzava rapidamente e con repentina accortezza, tali operazioni venivano svolte allo scopo di poter lasciare una larga strada al convoglio, che ancora distava di parecchie miglia dalla sospirata meta. L’andatura era sempre normale, le vedette scrutavano quanto più possibile l’orizzonte, dopodiché si incominciò a vedere verso prora un profilo di montagne. Ci accostavamo con velocità sempre crescente. Secondo i rilevamenti fatti ci trovavamo di fronte all’isola di Candia (Creta). Nulla fu scoperto in porto, perciò tornammo indietro a bocca asciutta ancora una volta. Verso il tramonto ci girammo con la prua rivolta a nord, non si andava più a 30 miglia ma solo a 20, perché ora mai eravamo sicuri che per tali acque non c’erano armamenti nemici, perché avevamo scorrazzato per lungo e per largo tutto il Mediterraneo orientale. Fino al mattino non trovammo nulla d’eccezionale. Il dì ci nasce in aperto mare, tutto l’equipaggio spera di veder terra nazionale perché erano già quarantotto ore che avevamo preso il largo. Verso le 8 arrivò l'ordine di proseguire per Napoli, tutto l’equipaggio dava segni di gioia indicibile. Alle ore 10 si incominciarono a scorgere le cime dei Peloritani, montagne sicule, man mano che avanzavamo i dolci pendii si venivano a scoprire sempre più, ci sentivamo presi dalla nostalgia nel vedere le care terre salutate con il cuore addolorato, e in mente venivano centinaia di idee. Nel frattempo il comandante chiama a rapporto i vari capo servizio, si accorse che noi non potevamo proseguire per Napoli, perché ci mancava l’acqua, quindi dopo aver fatto presente tale inconveniente al capo squadriglia, deliberammo di sostare a Messina per rifornirsi, come fu fatto. Arrivammo sulla costa alle ore 11, eravamo a corto di acqua, nafta e anche il personale non stava perfettamente in linea, quindi il nostro aspetto all’occhio altrui era misto. Uomini e macchine erano pronti a ripartire solo dopo qualche ora, perché personale e materiale della giovane Marina d’Italia non conosce ostacoli. Alla banchina c’era una gran folla che salutava con fazzoletti. Breve e precisa fu la manovra, dopo pochi minuti eravamo liberi, quindi ci rifocillammo come meglio potemmo al più presto. Le macchine erano spente, nulla metteva il sospetto che ci sarebbe stata un’altra partenza subito. Verso le 6 i fuochi furono chiamati al loro posto, alle 7,30 pronti a partire, un pennacchio di fumo veniva fatto durante l’accensione quindi all’esterno sembrava che tutto riposava, mentre all’interno con foga indicibile tutto era pronto. Alle 7,40 fu chiamato:” Al posto di manovra”. Molti civili gremivano la banchina e sembravano alquanto meravigliati nel vederci così all’improvviso partire. Presto prendemmo mare con moderata velocità, la navigazione fu calmissima, alle ore 6 del mattino giungemmo a Pozzuoli, ove trovasi la nostra squadriglia più un’altra. Alle 10 salpammo ancora da Pozzuoli e quindi arrivammo a Napoli alle 10,12. La stanchezza di tre notti di navigazioni non si palesava affatto sui nostri volti, eravamo felici come non mai. Ben presto furono rasate le ispide barbe, le quali erano già un po’ inoltrate. Ogni uomo che incontrava un compagno schiacciando l’occhio diceva:” Stasera usciamo, è un peccato non uscire qua a Napoli”, l’altro con un si affermativo si allontana diretto al barbiere, oppure in doccia per ripulire le forti membra. Anch’io quella sera uscii in modo speciale per incontrarmi con un mio amico d’infanzia, il quale si trovava a Napoli come guardia di pubblica sicurezza. Non lo trovai, gli lasciai detto ai suoi amici di venire a trovarmi il giorno seguente. Dopo di ciò girai per la città, entrando in un negozio vidi un calendario che marcava giorno due, mi ricordai che compivo diciannove anni tra qualche ora, perché la mia cara, mi aveva sempre detto che venni al mondo durante il tramonto. Cercai di festeggiare il mio compleanno come meglio potei e quindi a bordo.
3 e 4 agosto)
Alla sera scesi a terra, desideravo incontrarmi con un amico d’infanzia, il quale si trovava qui come agente di pubblica sicurezza. Andai in caserma non lo trovai, gli lasciai un biglietto dicendogli tra l’altro di venirmi a trovare il giorno seguente, infatti venne. Erano circa le 12, mi trovavo a tavola quando il piantone mi chiama dicendomi: ” Monti, a terra c’è un tuo amico che ti attende”, mi sentii palpitare il cuore, mi apprestai a recarmi da lui. In quel momento passai momenti di gioia indicibile, perché potei parlare con lui il caro dialetto e discutere sul nostro paesello, degli amici, dei compagni ed altre cose del genere.
dal 4 al 12 agosto)
Permanenza a Napoli, giorni veramente felici, la sveglia ci veniva fatta un po’ più tardi. Avevamo un giorno e cinque ore di franchigia Napoli, per questo si presta sotto ogni aspetto, sia per il suo bel panorama, per le piazze larghe e ben mantenute, poi per il piacevole litorale con bei giardini, interessanti monumenti, comoda spiaggia, sebbene le condizioni della costa sono del tutto sfavorevoli, poi per i suoi punti di ritrovo, che riuniscono parte della setta marinara e sono sempre gremiti. Ogni giorno che uscivo mi recavo dal mio amico e con lui frequentavo di sovente i punti su indicati. Oltre ciò era necessario tenersi pronti per la guerra, e questo non fu mai dimenticato.
Ufficiali e comandanti ci tenevano al corrente di quanto accadeva nei confronti della nostra cara terra, non fu mai trascurato un solo istante, un’arma, ne lasciato in bando al preparazione delle munizioni, anzi fu tutto riguardato con maggiore attenzione, furono poi revisionati una parte dei macchinari in modo che dopo questi giorni eravamo ancora più pronti di prima. Nulla aveva influito quel po’ di calma, perché i marinai d’Italia non somigliano all’esercito di Annibale, che durante le vacanze di Canne restarono inermi e poi per questo divennero inabili bruti.
13 e 14 agosto)
Fin dal mattino fui destinato a sorvegliare alcuni uomini che preparavano delle munizioni, alle ore 17 chiamò il capo cannoniere dicendomi: “ Monti, sospendi quel lavoro, con gli stessi uomini prepara i depositi per lo sbarco delle munizioni perché si andrà in bacino”. Nel sentire queste parole mi sentii fremere tutta la vita, mi affrettai un convinto si, quindi mi allontanai tutto contento, ero talmente felice che non mi accorgevo dove mi trovavo. Qualcuno mi domando perché ero tanto contento, fu risposta facile; perché sapevo che andando in bacino c’erano dei brevi permessi, ed io che distavo solo 140 Km da casa ero sicuro di poterci andare, come vi andai. Finito il lavoro ordinatomi, mi feci la barba e intanto spiavo se si chiedevano dei permessi. Nulla di ciò fino alle 18,20, a tale ora andai a cena, mangiai appena un boccone e subito dopo andai in segreteria, ove trovai l’ufficiale capo reparto, al quale espressi il mio desiderio e mi assicuro che dopo lo sbarco delle munizioni mi mandava; erano per me momenti veramente indescrivibili.
Alla sera stessa fu fatto lo sbarco, ma grazie alla bontà di alcuni sottufficiali, io non feci parte della compagnia di scarico fino all’ultimo perché mi mandarono a cambiare per mandarmi a casa qualche ora dopo.
Alle 21 partivo da bordo, pochi minuti dopo ero alla stazione, mi informai a che ora c’era un treno, mi riferirono alle 22,55. Erano appena le 21,30 quindi c’era ancora molto tempo d’aspettare. Mi misi a passeggiare lungo il binario, ero alquanto nervoso, fumai più sigarette, infine mi trovai con un amico di bordo, il quale andava anche lui in permesso con altri compagni, per cui si andava in comitiva e il tempo passava molto più presto. Finalmente si parte, il treno correva lento sul binario, un venticello ci batteva in viso, rendendo meno noiosa la calda notte d’agosto. Le stazioni si susseguivano ma la sospirata sembrava che non giungesse mai. Provai più volte a dormire ma non riuscii. Alle 4 circa giunsi a Ceprano, era una nottata oscura, più lampi guizzavano dall’orizzonte facendo a breve delle pause in cui rimaneva il cielo chiaro e questo chiarore mi servì per rintracciare la porta d’uscita. Durante il cammino verso casa mi sentivo trasportato dall’ansia di giungere, quindi camminavo di buon passo, verso le 5 giunsi, l’arrivo fu emozionante, dopo breve conversazione con i miei, andai per qualche ora a letto.
Il giorno passa felicemente trovando ora un amico ora un altro. La sera per me incominciò ad essere triste, sentivo che tra poche ore dovevo ripartite, mi sembrava un sogno di essere a casa, non palesai affatto tale tristezza per non rammaricare i miei.
15 agosto)
Festa in tutto il mondo eppure io alle prime ore dell’alba lasciavo la cara casetta per rientrare a bordo, qualche lacrimuccia usciva dagli occhi della mamma al momento del distacco. Io non sentivo nulla, partivo contentissimo, non posso precisare quale forza mi animi. Alle 5 il treno parte, un ultimo addio al caro paesello e quindi mi ritrovai in vettura, giunsi a Napoli alle 16, subito dopo rientrai a bordo dove fui festevolmente accolto dai compagni. Fino alla sera niente di nuovo.
Dal 16 al 22 agosto)
Furono questi giorni di grande attività per me e per tutto l’equipaggio, ogni congegno venne meticolosamente riguardato, tutte le artiglierie vennero ripulite e messe alla prova con una serie di tiri eseguiti contro una scogliera a largo del golfo di Gaeta. In oltre si avevano le notizie della grande vittoria italiana in A. O., per questo eravamo contentissimi. Nulla di interessante per quanto riguarda la Marina.
23 agosto)
Fin dal mattino ero intento al lavoro di riordinamento dei miei locali, alle 9 il capo cannoniere mi avvisa personalmente di prepararmi l’indomani mattina per poter fare bella figura perché c‘era una visita del vecchio e del nuovo comandante, a tali parole rimasi un po’ attonito. Il capo cannoniere intendendo la mia impressione mi dice: “ Il comandante Battaglia sbarca “. Fu per me questa frase come una coltellata al cuore perché omai mi ero affezionato a lui, sia in pace come in guerra, sempre ci aveva predicato a tutti le sue prodezze che venivano sempre a nostro vantaggio, perché fu con lui che avemmo l’onore di essere i primi su tutti i caccia della flotta nell’opera di tiro, con lui affondammo un sommergibile il 15 giugno e poi sotto la sua guida affrontammo il nemico tornando illesi da una rischiosa missione grazie alla sua alta abilità di manovratore, eppure ora bisogna vederselo strappare e andare ad occupare un nuovo posto, dove poteva stare un altro non della stessa abilità. Alla sera ci riunisce facendoci presente con quanto rancore ci lasciava, come testamento ci lasciò il seguente testo: “ Voglio che quando mi incontrerò con il vostro comandante mi dica: “ L’equipaggio del Carabiniere è continuato ad essere perfetto”, solo in questo modo allevierò il grande dolore che provo nel lasciarvi “.
24 agosto)
Mattino come gli altri, alle 10 ci cambiammo e ci mettemmo in tenuta ordinaria per ricevere il nuovo comandante. La cerimonia fu breve, austera e commovente per alcuni, infatti tutto l’equipaggio aveva il viso broncio e a qualcuno sfuggiva qualche lacrimuccia. Alle 11 fummo chiamati a poppa per salutare il comandante, l’equipaggio era schierato su due file, un picchetto d’onore restava fra le file, gli ufficiali vestivano in grande uniforme. Successivamente ci fu la consegna del gagliardetto. Il comandante Battaglia lo impugna dicendo: “ Ufficiali, sottufficiali, capi, sottocapi e comuni, da questo momento riconoscete come vostro comandante di Fregata Ernesto Giuriati “, quindi bacia il gagliardetto e lo consegna al nuovo comandante. Il nuovo ci dice le seguenti parole: ” Vi ho riunito per salutare il comandante Battaglia, il quale ha dato a questa unità delle brillanti tradizioni in pace come in guerra. Noi gli promettiamo, in questo momento, che continueremo “, fu fatto il saluto alla voce: “ Per il comandante Battaglia “, così avvenne il distacco. Gli si guardava con viso mesto, poi si fece coraggio e ci disse: ” Arrivederci ragazzi “, parte e nell’allontanarsi di tanto in tanto lanciava degli sguardi a bordo, poi una curva non mi permise più di vederlo. Non mi vergogno confessarlo, anch’io piansi, non perché era stato buono con noi, ma perché si era presentato sempre pronto ad incoraggiarci durante gli scontri con il nemico.
dal 25 al 28 agosto)
In questi giorni l’equipaggio pur crucciato per lo sbarco del comandante, si dedica con amore a ripulire i vari locali, per poter fare ottima figura, e far fare una buona opinione al comandante di noi stessi.
29 agosto)
Un ordine improvviso giunse nelle prime ore del mattino, esso ci face partire da Napoli alle ore 12,30, non sapevamo dove si andasse. A largo del golfo di Napoli vennero svolte delle esercitazioni, poi rotta verso sud e di seguito non accadde nulla di grande importanza.
dal 30 agosto al 1 settembre)
Passai una felice nottata, alle ore 8 potei apprendere da un sottufficiale che rientravamo a Taranto, tale notizia prima mi rallegrava, mentre poi mi era quasi seccante, perché ormai avevo fatto in me un mio piano di guerra, secondo il quale con l’aiuto della prima squadra dovevamo distruggere la flotta nemica. Alle ore 4 giungemmo a Taranto, non andammo però alla banchina destinata per i C. T.. Attraccammo ad un molo per rifornirci, l’operazione fu rapida, infatti solo dopo un’ora eravamo pronti. Era una serata alquanto calda, il rovente disco rosso scompariva all’orizzonte dandoci l’ultimo addio del dì. Guardando la nostra rada gremita di navi da guerra di ogni dimensione, facevano venire, come per istinto, una voglia indicibile di incontrarsi con il nemico per sgominarlo una volta per sempre. Dopo il tramonto mi recai nei pressi della segreteria comando, per avere informazioni se c’erano i franchi, se si partiva subito e dove era previsto di andare. Ebbi esito sfavorevole perché l’ufficio era chiuso. Qualche minuto dopo vidi arrivare sotto bordo un motoscafo, il quale portava le iniziali della R. N. Vittorio, da esso scese un aspirante ammiraglio di squadra, che chiedeva di parlare al comandante. Dopo il breve colloquio furono impartiti vari ordini, tra cui quello di tenersi pronti a partire in due ore, quindi si prevedeva che presto la flotta lasciava Trento per fare una di quelle missioni che provocavano lo sgombro del Mediterraneo da qualche ridotta squadriglia nemica. A mezzanotte uno strano bagliore lunare illuminava il nucleo di navi, dalla loro ciminiera si levavano enormi colonne di fumo, il che voleva dire che presto si partiva. Alle 4 fummo i primi ad uscire, un breve giretto sull’imboccatura del porto e quindi attendevamo l’uscita della nave da battaglia, quando fu la volta delle quattro corazzate, noi eravamo a breve distanza si vedevano le torri da 381 che continuamente si muovevano, era l’ultima verifica di vari congegni, all’alba eravamo in perfetta formazione. Fino a mezzogiorno dormii e non mi interessai affatto allo scopo di tale missione, e a detta ora un mio amico mi portò da mangiare, dicendomi tra l’altro che era stata avvistata una formazione nemica, per le ore 4 era previsto il contatto ( balistico ). Non mi impressionai affatto, consumai il pasto e andai a fare un giretto per meglio assicurarmi se era vero, infatti era la verità. Mi ritirai dove ero destinato qualche ora dopo preparandomi un gran numero di munizioni per eventuali necessità.
L’attesa fu seccante, passarono le 4 poi le 5 e nulla di nuovo, a tale ora mi fu portata la cena, avevo appena incominciato quando mi veniva telefonato e mi avvertivano che l’attacco era imminente. Siamo in perfetto schieramento si va all’attacco, presto feci mettere via il mangiare e subito al mio posto. Mi erano compagni tre marinai tutti richiamati, erano di buon umore anch’essi quindi tra una parola e l’altra si attendeva il momento fatale, che non venne più per quella volta perché il nemici appena avvistatoci si ritirava a tutto vapore, quindi noi tornammo indietro a bocca asciutta. Da quel momento iniziò una delle più brutte navigazioni che io ricordi. C’era il mare di prora molto forte, accompagnato da un gran vento, il quale faceva compiere accelerazioni alle unità siluranti che è molto difficile descrivere. Noi quattro eravamo laggiù al punto più basso della nave ( questa volta ero al deposito avanti per motivi superiori ), ci guardavamo l’uno con l’altro senza aver il coraggio di parlare, un sudore freddo ci usciva dalla fronte, ad uno ad uno ci buttavamo a terra senza fiatare, il mare aumentava sempre più e il nostro malessere cresceva, eravamo semi sfiniti senza un goccio d’acqua e nulla da mangiare, ci trovavamo in uno dei momenti più critici della navigazione. Tutta la notte restammo uniti, al mattino uno dei mariani andò su per portarci da mangiare, riuscii ad avere appena un po’ di galletta e formaggio, provai a mangiare ma non vi riuscii, proseguii a dormire, non cenai nemmeno. Durante la notte si calmava un po’ quel benedetto mare, ormai ero tanto debole che non fui capace di tenermi dritto. Finalmente al mattino del primo settembre rientrammo, quando salii in coperta mi sembrava di sognare, i raggi mi abbagliavano la vista, non mi guardai allo specchio per paura di spaventarmi, ma nel viso dei miei compagni scorsi il mio aspetto. Per tutto il giorno ci dedicammo a riparare i disastri fatti dal mare.
dal 2 al 6 settembre)
sono stati questi alcuni giorni di grande attività, fu ancora una volta riguardato ogni chiodo che aveva un particolare interesse per la piena efficienza di una unità in guerra. In questi quattro giorni trascorsi a Taranto riuscii a fare appena una franchigia.
dal 7 al 9 settembre)
Alle 15 arrivò un ordine, il quale ci imponeva di tenersi pronti a muovere in un’ora, i vari reparti subito si sistemarono ai loro posti, così in circa quaranta minuti appena eravamo in pieno assetto per la partenza. Alle 16 e qualche minuto salpammo, eravamo destinati alla scorta della divisione Pola, composta di tre incrociatori di 10000 tonnellate al nostro gruppo si unirono altri Incrociatori della stessa dimensione, con altri C. T. ci allontanammo.
Durante la penombra scompariva all’orizzonte l’ampia rada del porto di Taranto, si vedevano avanzare le cinque corazzate, che con la loro superba estetica sembravano le dominatrici del mare, esse erano scortate da numerosi Incrociatori e C.T. , presero una rotta differente dalla nostra, così navigammo a gruppi separati fino alle 16 del giorno 8 settembre. Avevamo tenuto rotta verso ovest, ci dirigemmo in quelle località ove un nostro sommergibile venne affondato da una unita nemica da guerra. Avvistammo una formazione navale nemica che avanzava verso est, però ancora una volta se la filarono e noi dovevamo rientrare il giorno 9 settembre a Palermo, senza aver potuto sparare un colpo nemmeno questa volta.
Il dì fummo lasciati liberi.
10 e 11 settembre)
Il giorno 10 settembre fu dedicato al riposo personale, e fu fatta la franchigia, mentre l’11 fu di preparazione per lasciare Palermo alle 20,20. Partimmo la sera ed arrivammo a Taranto il 12 settembre alle ore 16. La navigazione fu bellissima, mare calmo e moderata velocità.
dal 12 al 20 settembre)
Lungo ma giusto riposo dopo il periodo di navigazione incessante, avevamo bisogno di riguardare le macchine ed altri congegni del genere. In tale occasione furono concessi alcuni permessi, io non potei andare perché avevo usufruito del permesso la volta precedente.
Mentre mi trovavo a bordo e mi guardavo in tasca, trovai l’indirizzo di alcuni parenti a me sconosciuti che si trovavano a Taranto, mi recai da loro, i quali mi ricevettero festevolmente e gli promisi di ritornarvi in futuro.
dal 21 al 30 settembre)
Continua la calma, in questi giorni mi sentivo poco bene, il dottore riscontrò un po’ di tachicardia, che con pochi giorni andò via, dopo di questo periodo di convalescenza fui mandato in licenza. Comunque ho continuato la permanenza a Taranto.
1 e 2 ottobre)
In questi due giorni vissi nella speranza di andare in licenza, ma ciò non era sicuro perché la squadra fu di nuovo messa pronta per muovere in due ore. In ogni modo mi ero leggermente rimesso dalla già accennata malattia, ora però più che altro era il gran desiderio di partire. Finalmente nel tardo pomeriggio del 2 settembre ricevetti ordine di prepararmi perché quella sera stessa partivo, fu un momento di vera e grande gioia. Solo qualche ora dopo lasciavo la mia cara nave con la speranza di trovarla sempre allo stesso posto. Quando fui in città subito andai dai miei parenti, dove fui amorevolmente accolto, quindi mi trattenni per circa tre ore, vi cenai, passando insieme a loro allegre ore in modo particolare. Si discuteva sul mio arrivo a casa, che loro prevedevano favoloso, mentre io già essendoci stato altre volte lo trovavo differente. Verso le 21 salutai e partii, alla stazione c’era l’ira di Dio, più di mille uomini erano in fila per fare il biglietto, ad ogni modo tra spintoni, calci, pugni, sputi e bestemmie, riuscii a farmi strada e ad acquistare il biglietto. Alle 22,20 si parte, il treno era pieno esclusivamente di marinai, perciò figuratevi che bel viaggio è stato fatto. Alle 6,20 del mattino giunsi a Napoli, dopo essermi informato dell’orario del treno scoprii che per tre ore e venti minuti dovevo rimanere in attesa, allora approfittai per andare a trovare un mio amico che stava a Napoli in qualità di agente di pubblica sicurezza. Restai con lui per un paio di ore, poi tornai alla stazione e si parte, il sole già era alto, con i suoi benefichi raggi batteva al finestrino, riscaldando la vettura ma nello stesso tempo dava fastidio agli occhi. Alle 2 pomeridiane arrivai alla sospirata meta, quindi dopo poco tempo giunsi a casa, l’arrivo fu emozionante, trovai nella cucina un ospite ed era la moglie di un mio cugino, proveniente dalla famiglia di cui ero stato ospite a Taranto pochi minuti prima di partire.
dal 3 al 14 ottobre)
Furono questi giorni trascorsi in santa pace, non continui fischi di richiamo durante il giorno, non adunate ordinarie e straordinarie, e non sveglie fatte con gridi, spintoni e minacce come alcuni giorni capita, specie dopo un lungo periodo di faticosa navigazione. L’aria pura del mattino entrava dalla finestra situata sulla mia dritta, e tra uno sbadiglio e l’altro pian piano mi incominciavo a muovere, una volta alzato era una vita nuova, mi sembrava di essere in un nuovo mondo.
Tra un giorno e l’altro notavo in me miglioramento, infine mi sentivo perfettamente bene, ma per mia sventura la licenza finiva, però non me ne crucciavo affatto perché capivo il mio dovere di italiano e fascista, quindi senza provare ad avere la proroga o cose del genere, mi preparai a partire. Il 13 ottobre alle 6 pomeridiane lasciai il caro paesello natio, dopo un pessimo viaggio giunsi a Taranto. Mi recai subito dai miei parenti dove appresi con gran dispiacere la perdita di tre nostre piccole unità siluranti che stazionavano nel canale di Sicilia, esse però avevano già inflitto al nemico perdite considerevoli, tra cui l’affondamento di un Incrociatore di 7000 T.
Alle 22 salutai i parenti per recarmi a bordo, con mio sommo dispiacere non trovai il Carabiniere alla banchina, era in rada a mar piccolo, senza perdermi in meditazioni, mi presentai a bordo del Granatiere, qui passai la notte, disteso su una tavola. Posso giurare di non avere affatto sofferto la pessima qualità del letto, perché prima di allungarmi già dormivo. Al mattino mi recai a bordo del Carabiniere, dove fui festevolmente accolto dai compagni in modo particolare.
dal 15 al 27 ottobre)
Ricominciai la vita con minima attività, ripensando ai bei giorni trascorsi in seno ai miei cari, mi dedicavo con amore ad ogni lavoro che mi venisse ordinato oppure riconoscessi io che si doveva fare, per assicurare il perfetto ordine nei locali a me assegnati. Il 22 ottobre andammo alla boa a mar grande, per eseguire il dì seguente una serie di tiri a una carica. Il tempo era pessimo, acqua e vento venivano giù a dirotto e per due giorni la situazione non è cambiata. Il terzo giorno non pioveva più, ma il vento era tanto forte che ci faceva sbandare potando l’acqua in coperta. I mezzi non potevano più transitare, quindi i viveri venivano meno, e oltre a soffrire il mare anche la fame. Gli altri due giorni furono peggio che mai, il 27 ottobre rientrammo a mar piccolo, fu un vero giorno di festa per noi tutti, perché potemmo rifocillarci e poi andare in franchigia e passare una di quelle belle serate.
28 ottobre)
Al mattino fu fatto orario normale, alle 10 ci fu assemblea del comandante, il quale fece un breve discorso, rievocò l’ardua impresa dell’occupazione, conferì in seguito alla decisione del governo fascista, in oltre aggiunse che la potente flotta inglese di quei tempi impose alle poche ma audaci unità italiane di ritirarsi, ciò fu fatto dopo che avemmo ottenuto tutto quello che desiderava dal governo di Atene, infine aggiunse che se oggi noi dovessimo ritornarvi non sarà la flotta inglese a imporci di abbandonare le posizioni occupate, ma bensì essa stessa che fino a ieri è stata il terrore dei mari del mondo, cercherà di evitare di scontrarsi con le nostre unità, le quali sono molto più potenti in ogni campo.
Mentre lui ci diceva queste parole, le nostre truppe dislocate in Albania varcavano il vecchio confine, muovendosi alla conquista dell’infocata terra balcanica ( la Grecia). Per tale atto non è da ritenersi responsabile il governo di Roma, ma solo quello di Atene, perché esso forniva basi sicure alla flotta inglese, appoggiandola con spionaggio fornito da pescherecci greci, i quali comunicavano con le basi inglesi, e l’Italia non ignorava che il Colleoni fu affondato da navi rifugiate nei porti greci, questo non basta, essa diveniva sempre più pericolosa ed ora sconta le giuste pene inflittegli dalle colonne dell’esercito fascista.
dal 29 al 31 ottobre)
Giorni alquanto movimentati, si è avuto qualche allarme aereo, ma al passivo, nessun lancio di bombe, pochi colpi delle batterie terrestri sbarravano il passo ai pochi apparecchi giunti fin su la piazza forte.
A tardo pomeriggio del 31 ottobre arrivò ordine:” Pronti a muovere in meno di due ore”, eravamo pronti, nulla di nuovo fino alla mezzanotte.
1 novembre)
Al mattino sveglia prima del normale, tutti cambiati in tenuta di navigazione, si aspettava ordine ma questo non venne per quel dì. Alle 10,30 ricevemmo ordine di cambiarsi in tenuta ordinaria, qualcheduno aveva sentito dalle autorità che quel giorno il Duce sarebbe venuto a Taranto per passare in visita alla flotta che lì era dislocata. Alle 12 ci schierammo sul castello, furono fatte alcune prove e poi attendemmo. Restammo là fino alle 4 pomeridiane, infine si avvistò il corteo di motoscafi, il Duce era sul primo, vestiva la tenuta di primo Maresciallo dell’Impero, era diritto verso il centro dell’imbarcazione, sorrideva come sempre, ci è passato in visita poi si diresse in Arsenale, noi fummo lasciati liberi, ma non vi fu franchigia.
2 novembre)
Mattinata come al solito, verso le 11,45 un allarme aereo cessò di suonare, a noi venne revocato l’ordine di muovere, quindi vi fu franchigia, la paga fresca e sbornie a tutto andare.
3 e 4 novembre)
Continua la calma tutto il giorno 3 novembre, mentre il 4 eravamo chiamati a sostituire il Camicia Nera, caccia come noi, quindi navigammo dalle 12,20 fino alle 19,30 circa. Furono svolte importanti esercitazioni, tra cui tiri di Incrociatori dei grossi calibri e dei pezzi antiaerei. Fino a mezzanotte nulla di nuovo.
dal 5 all’8 novembre)
All’alba del giorno 5 novembre eravamo pronti a muovere, si doveva uscire per eseguire una serie di tiri a una carica, ma le avverse condizioni atmosferiche non lo permisero nelle prime ore del mattino. Vi fu un allarme aereo, ma la pronta reazione della difesa antiaerea sventarono l’attacco, non fu effettuato affatto lancio di bombe. Il giorno 6 novembre salpammo l’ancora all’inizio del giorno, dopo aver assistito di nuovo a una di quelle solite sparatorie per quei farabutti inglesi, i quali si erano uniti ai greci e non facevano altro che scomodarci di buon ora. Le esercitazioni riuscirono nel modo più brillante, durante le quali ci fu un piccolo battibecco con il capo cannoniere per una sua svista d’occhio.
Giorno 7 novembre, si svolse tutto regolarmente, mentre al mattino del giorno 8 l’allarme aereo suona di nuovo, sparatoria a tutto andare, dopo di ciò fummo messi pronti a muovere in venti minuti, alla sera quest’ordine cambiava ma all’alba del giorno 9 novembre riprendeva la stessa procedura, non vi furono franchi per ambo i giorni.
9 e 10 novembre)
Si restò pronti a muovere in ambo i giorni, furono effettuati alcuni attacchi aerei, ma tutti respinti grazie al pronto intervento delle batterie antiaeree della Regia Marina e delle navi della rada. Si seguono con passione gli avvenimenti in corso in Epiro (Grecia). Nulla di più importante da segnalare.
11 e 12 novembre)
All’alba del giorno 11 novembre, come al solito, pronti a muovere, essendo il compleanno del Re Imp., il nostro comandante volle festeggiarlo nel modo più semplice, sebbene le condizioni del caso non lo permettevano. Fece assemblea generale, con alcune calorose parole ci rievocò la vita del nostro invitto Imp., il quale in 40 anni di regno aveva fatto dell’Italia, piccola e sterile, una potente nazione, di cui lui ne aveva il comando. Fu cantato il caro inno alla nascita del Re Imp., e poi andammo a mangiare. Poco dopo giunse ordine di smettere i festeggiamenti, infatti qualche ora dopo fu gridato: “ Franchi “, e tutti a cambiarsi, ci dettero poco, circa due ore, ma ad ogni modo dopo tanto tempo che non si usciva ci sembrava una delle ottime franchigie.
Viene la notte, una luna piena rischiarava il bel cielo pugliese, non c’era corrente, insomma un atmosfera di pace dava l’impressione di una grande notte per gli avvenimenti in corso, perché solo le avverse condizioni atmosferiche li avevano fermati fino a quel giorno, infatti molto fu fatto. Una grande nave fu silurata e gravemente danneggiata e due piroscafi furono affondati dai nostri sommergibili. In verità avrei rinunciato a tale bottino senza aver subito le gravi falle ad alcune nostre navi da battaglia. Ecco come avvenne il triste episodio. Verso le ore 20 vi fu un allarme aereo, ma la pronta reazione della nostra artiglieria antiaerea resero vano il primo tentativo. Alle 23,55 circa, quando quasi tutta la gente riposava, eccetto quella di guardia per la sicurezza, fu effettuata una seconda incursione, subito fu segnalata e venne fatto un fuoco infernale, ma quella volta tennero duro qui farabutti, dopo di essersi illuminato il bersaglio con alcuni razzi fosforescenti, si buttavano disperatamente all’attacco con i siluri, colpendo gravemente la corazzata Cavour, la quale fu semi affondata, la corazzata Duilio fu affondata in un modo lieve e la corazzata Littorio anch’essa restò gravemente danneggiata verso la prora. Tutto ciò restò ignoto per noi fino al mattino seguente, verso le 10 si incomincio ad avere notizia, ma in verità nessuno lo credeva, ne fummo certi verso le 13 dello stesso giorno, perché noi dovevamo abbandonare Taranto e per uscire si doveva passare per forza vicino alle dette unità. Io e tutti i marinai della mia unità ci sentimmo di molto avviliti in quel momento, ma poi guardando ancora più in là si vedevano ancora potenti navi da battaglia con dieci Incrociatori pesanti ad altri di minor dimensione, il che voleva dire che ancora una volta eravamo di molto superiori al nemico, che ancora una volta sconvolto è stato messo in fuga. La navigazione prosegue regolarmente, giungemmo a Messina il mattino seguente, quindi si restò in pace per quel giorno, il comandante ci spiegò con poche parole il significato di tale spostamento, e poi quanto siano state insignificanti le perdite subite a Taranto.
dal 13 al 15 novembre)
Continua la calma, furono presi provvedimenti per eventuali attacchi aerei, si aspetta con ansia il momento buono per rispondere al signor Winston Churchill con il ferro e con il fuoco, infatti solo il 17 novembre a sera per un poco ciò avveniva.
dal 16 al 18 novembre)
Sono stati tre giorni di dura navigazione, alle ore 9 del 16 novembre lasciammo Messina, la nostra prora era rivolta ad ovest, verso Gibilterra. Al mattino il mare era calmo e faceva venire voglia di navigare, verso le 14 poi divenne un po’ mosso, poi più mosso ancora, il che ci evitò di poter consumare tutta la cena. La notte fu disastrosa, continue ondate venivano in coperta raggiungendo perfino le plance dei complessi. Non meno lieta fu la mattinata seguente, di tutto si parlava tranne che di mangiare. Erano le 13 del 17 novembre, avevamo navigato per circa ventisette ore sempre a venti miglia, eravamo nei pressi delle Balneari (Spagna), quando a distanza si videro comparire nella loro pesante mole tre corazzate scortate da Incrociatori e molti C. T., presto prendemmo contatto e subito in formazione di offesa, nello stesso tempo furono catapultati alcuni aerei dagli Incrociatori, e subito dopo venne chiamato l’ordine che ci faceva mettere pronti ai posti di combattimento. Io e tutti i miei compagno non sentimmo più la fame e nemmeno la debolezza, andammo al nostro posto, si attende ma nulla ci viene detto. La velocità era aumentata poi diminuì, accostate su accostate ci facevano mescolare tutte le viscere, eppure eravamo là pronti a tutto, ma il sospirato ordine di rifornire si invertì con quello di “ cessa tutto”.
A circa cinquantamila metri da noi c’era una formazione navale nemica, formata da una nave da battaglia, da una portaerei e da alcuni Incrociatori, che quando ci videro, prima di entrare nel nostro raggio d’azione delle potenti artiglierie, se la filarono di buon passo, e rientrarono nella roccaforte di Gibilterra. Noi ancora una volta dovemmo rientrare senza aver potuto concludere nulla.
Al momento del ritorno eravamo a capo Tunisi, a circa diciotto ore di navigazione da Messina, tutta la flotta ripiegava per rientrare alle rispettive basi, la velocità era normale, si doveva arrivare per il mezzogiorno dopo, ma una avaria avvenuta ad un caccia della divisione dislocata a Cagliari, ci costringeva a guardargli le spalle affinché esso poteva rientrare incolume alla base.
Alle 14 dello stesso giorno finì questa missione e avevamo appena preso rotta per Messina quando ad un tratto ci fermammo, cosa era successo?, un’avaria all’apparato motore, ciò mi fece una cattiva impressione, poco dopo si riparte, avevamo appena fatto mille metri che siamo di nuovo in avaria. Furono prese immediatamente precauzioni cosicché qualche mezzora dopo riprendemmo rotta. Ora si navigava anche a 27 miglia, fu stabilito l’arrivo per mezzanotte, difatti alle 10,15 furono avvistati i fari dello stretto, il tempo era di nuovo burrascoso, una corrente d’eccezione ostacolava la manovra, il vento fischiava a parecchi chilometri orari, così prima che le altre erano dentro si fecero le 2, alle 2,20 anche noi eravamo a posto.
19 novembre)
Eravamo stanchi dalla lunga navigazione, quindi sveglia alle 7,30, alla sera fu fatta una sostanziosa cena in una caserma a terra, ma io ero di servizio e non potei uscire, ma anche stando a bordo pensai a rimettere a posto lo stomaco.
Di particolare nulla da segnalare.
20 e 21 novembre)
Giorni trascorsi in santa pace, dedicati a mettere a posto armi e munizioni, per le macchine fummo costretti a recarci in Arsenale, da dove la sera del 21 novembre partivano circa sessanta uomini in licenza, io speravo che mi venisse data anche a me, ma viste le condizioni in cui ci trovavamo non ci misi per niente il pensiero.
22 novembre)
Mattinata calma, mi alzai alle 7 approfittando dell’assenza del capo cannoniere. Durante il giorno nulla di nuovo.
dal 23 al 25 novembre)
Continua la calma, intanto a bordo giunsero parecchi operai per il riordinamento dell’unità. La serata del 23 novembre assistetti ad uno spettacolo lirico ( Madama Batterflai ), il 24 vera pacchia, il 25 mi dedicai a mettere a posto qualche cosetta.
26 e 27 novembre)
Al mattino tutto normale, alla sera durante la franchigia sentii una tromba che richiamava tutti i marinai a bordo, io non vi tornai perché ero ai lavori, quindi non era necessario, giuro senza vergogna che avrei preferito rientrare subito, sebbene sapessi quante difficoltà bisognava sopportare durante quella notte.
Poco dopo si vedono le navi uscire, io mi sentii strappare il cuore dall’invidia, perché pensavo che erano cinque mesi che si navigava come disperati e forse questa volta che noi non ci siamo sarà la volta che si incontreranno con il nemico. La mattina del 27 novembre eravamo di vedetta per la difesa contraerea, alla sera verso mezzanotte sentii un gran numero di colpi, ciò mi straziava ancora di più l’animo perché pensavo che io non ero presente in una notte di guerra che si presenta decisiva. Per fortuna mi ingannavo, perché quei colpi venivano da Crotone, città situata sulla costa calabrese, che fu sottoposta ad un attacco aereo anglo – greco. Sempre nello stesso giorno una nostra formazione navale che incrociava a sud della Sardegna, composta da sei Incrociatori di diecimila tonnellate, due corazzate Vittorio Veneto e Cesare, e molti C.T., si trovava in prossimità del nemico, erano circa le 12, apparecchi catapultati dalle nostre navi ci fornivano tutti i dati necessari per la preparazione al contatto. Il nemico presentava una possente formazione, costituita da molti Incrociatori, alcune navi da battaglia e una portaerei dalla quale partivano di tanto in tanto formazioni di idrosiluranti che tentavano di attaccare le nostre unità, ma tutto fu vano perché le possenti batterie antiaeree delle nostre navi li tennero lontani. (Secondo quanto mi ha raccontato un mio amico ecco come si svolsero le azioni). Avvistata la formazione nemica vi si diresse contro solo una nostra divisione composta da tre Incrociatori: Trieste, Trento e Bolzano, ciò fu fatto per attirare il nemico, intanto dietro seguono altri Incrociatori e le due corazzate. La divisione di punta giunta a dovuta distanza inizia il fuoco colpendo due Incrociatori, ma essendo di gran superiorità numerica i nostri, ripiegavano facendo entrare in azione i grossi calibri della Vittorio Veneto, ma quando gli inglesi si videro giungere tutti quei “confetti” deviarono rotta, fuggendo velocemente. Si ritirarono con due Incrociatori mal ridotti, mentre noi ci rimettemmo una silurata ad un caccia. Il nostro capo squadriglia ci ha fatto un brutto effetto, sia a me che a tutto l’equipaggio, perché arrabbiato voleva far scontare il suo stato d’animo al nemico, voleva inseguirlo per vendicare anche la silurata al nostro caccia, ma ancora la guerra non era finita quindi speravamo di scaricare la nostra ira al momento buono.
dal 28 al 30 novembre)
Continuano con ritmo accelerato i lavori, a bordo restava poca gente e quindi niente da fare. Si ascoltavano con piacere le varie relazioni dei corrispondenti trasmesse per radio, nei riguardi della battaglia navale avvenuta qualche giorno prima.
Nulla da segnalare per quanto ci riguarda.
1 e 2 dicembre)
Si tornava a vedere qualcuno che tornava dalla licenza, quindi si prevedeva che presto eravamo pronti con quei benedetti lavori, infatti dal 2 dicembre rientravamo regolarmente in armamento.
3 dicembre)
Il mattino tutto normale, verso le 10 rientro a Messina con l’Ascari, caccia della nostra divisione, il quale insieme agli Incrociatori aveva partecipato alla battaglia del mare di Sardegna. Nel vederlo arrivare noi gli facemmo forti dimostrazioni, ma nello stesso tempo molti pensavano alle gravi avarie riportate dal capo squadriglia dove vi furono anche due morti. Alle 15 giunse ordine di accendere immediatamente, alle 6,45 salpammo con l’Incrociatore Trento, che doveva recarsi a Napoli per fare piccoli lavoretti e con l’Ascari, compagno di pattuglia, non avevamo nemmeno mollato i rimorchiatori, che fu suonato l’allarme aereo, nello stesso tempo le batterie iniziarono a sparare, facendo ottimo fuoco di sbarramento, ma datosi che l’altezza degli aerei era molta e poi c’era il buio, nessuno aereo fu abbattuto ma nemmeno fu effettuato lancio di bombe.
La navigazione prosegue regolarmente fino a mezzanotte.
4 dicembre)
Il dì ci nasce davanti al golfo di Napoli, nei pressi delle isole Ischia e Capri, a questo punto la velocità fu molto ridotta, perché solo alle 10 potemmo entrare in porto.
Il mattino fu delizioso, una brezza sfilava da nord, facendoci arrossare la punta del naso, il sole di tanto in tanto faceva capolino dietro ad una cartina di nuvole, le quali tentavano di dileguarsi sempre più. Il Vesuvio che mai spegne la sua caldaia, emetteva il solito pennacchio di fumo, completando la bellezza naturale di quella vaga località. Alle 10 attraccammo in porto, alla sera tutti a terra, io non fui franco e quindi nulla.
5 e 6 dicembre)
Giorni di permanenza a Napoli, trascorsi in un’atmosfera del tutto calma. Alla mattina del 5 dicembre, S. M. R., il P. di Piemonte passò in visita a parte degli equipaggi della prima e seconda squadra. La cerimonia fu breve datosi le circostanze attuali. Nel resto del giorno nulla da ricordare. Alle 9 del 6 dicembre giunse ordine di tenerci pronti a muovere, alle 20 si salpa, la serata era buia, un vento fortissimo veniva da ovest, quindi si incomincia quel balletto che fa poco piacere, fin dal momento che ritirammo l’ancora. Ad ogni modo le nostre rotte avevano come pinto d’approdo Messina e senza guardare le condizioni del mare tirammo avanti, man mano che uscivamo dal porto il malessere si faceva sempre più noto, continue ondate invadevano tutte le soprastrutture dell’unità, portando di tanto in tanto qualcosa in mare, tra cui una riservetta contenente dieci proiettili, momento veramente pericoloso. Io mi ero recato nell’antialloggio, ufficio nei pressi del deposito ove ero destinato, vi passai buona parte della notte senza chiudere occhio, ma poi nemmeno lì potetti più stare perché l’acqua mi bagnava il dorso e mi rifugiai in punti più comodi. Arrivammo alle 3,30 del giorno 7 dicembre veramente stanchi, affamati e molto di più assetati perché nell’acqua potabile vi era penetrata dell’acqua salata, quindi immaginate.
dal 7 al 12 dicembre)
Non appena a Messina subito furono fatti gli opportuni fonogrammi all’Arsenale, per riparare le avarie subite durante la navigazione dei giorni precedenti. In questi giorni tutto fu riparto. In questo frattempo c’era stato il cambio della guardia dei vari stati maggiori, Marina dipartimento dell’Egeo e perfino il super generale Badoglio. Tutti hanno dato le dimissioni datosi la crisi notatasi in Albania e in Africa, noi tutti eravamo molto nervosi per tali perdite.
dal 13 al 16 dicembre)
Al mattino giunse ordine di tenersi pronti a muovere, ciò faceva prevedere dei movimenti navali, alla sera verso le 20 si salpò da Messina con agile manovra, Carabiniere e Ascari unici della squadriglia restati in efficienza. Uscimmo fuori dallo stretto, la velocità era sui 24 miglia, con circa 260° di rotta, dove andavamo?, nessuno lo sapeva. Alle 3 del mattino grazie alla fioca luce lunare, ci accorgemmo di trovarci nei pressi del porto di Palermo, dopo qualche ora lo raggiungemmo e lì attraccammo. Cosa si aspettava? Questa volta indovinammo, c’era un convoglio da accompagnare in Africa, infatti di buon mattino due grossi piroscafi si vedono salpare, mentre su un altro prendevano posto diverse migliaia di bersaglieri. Alle 9 salpò il terzo piroscafo scortato da quattro Caccia Torpediniere del tipo duemila tonnellate. Alle 10,5 salpammo noi insieme all’Ascari, ci seguivano due Incrociatori di cinquemila tonnellate, Giovanni dalle bande nere e Alberico di Giussano. Il nostro servizio era quello di guardare le spalle al convoglio. Verso sera eravamo a punto Trapani, ormai sapevamo di entrare in un tratto di mare molto pericoloso, quindi giù i paramine. Eravamo in testa alla formazione mentre il giorno scompariva, noi salutammo l’ultimo lembo della nostra terra, cala la notte, la navigazione prosegue indisturbata. Alle prime ore del giorno con ansia si cercava terra, ma sapemmo che per le 13 giungevamo a Tripoli, lasciando là il convoglio con i quattro caccia di scorta, e noi ritorniamo indietro. Alle 11 fu avvistato Zuara, piccolo paesino sul confine della Tunisia, alle 12 si viaggiava a tutto vapore e alle 13 eravamo in vista di Tripoli, ma ormai la nostra missione era terminata, quindi tornammo indietro. I soldati sul ponte ci salutavano e noi rispondevamo con il cuore alla gola al loro saluto, augurandogli “ buona fortuna “.
La nostra aguzza prora si girò su capo Tunisi, ove giungemmo al mattino del 16 dicembre, durante questo tratto furono incontrati altri quattro piroscafi che facevano la nostra stessa rotta del giorno precedente, essi andavano senza nessuna scorta armata perché ormai erano sicuri dell’invulnerabilità del nostro mare.
Alle ore 11,30 del 16 dicembre giungemmo a Palermo, dove rientravano gli Incrociatori, mentre noi proseguivamo per Messina, che ci accolse alle 20 circa, quindi dopo settantadue ore di navigazione con mare non sempre calmo, stanchi e sporchi con ispide barbe e capelli arruffati rientravamo alla nostra base, dove non trovammo tutto ciò che ci serviva, ma siccome noi eravamo italiani e questi sono abituati a vivere nel piccolo, noi ci arrangiavamo alla meglio. Eravamo molto felici perché sfidando mille pericoli portammo rinforzi su quel fronte dove ne era tanto necessario, in Africa.
17 e 18 dicembre)
Datosi gli avvenimenti in corso eravamo sempre pronti a muovere in tre ore, e per questo avemmo un gran da fare per rimettere in efficienza tutto il materiale, che dopo una lunga navigazione era andato di molto a male. Alla sera del 18 dicembre riuscii a toccare terra per circa qualche ora, feci alcune spese indispensabili e subito a bordo. Durante il ritorno sulla nave un forte vento che portava qualche goccia d’acqua semi congelata, quando mi toccava le orecchie mi faceva rabbrividire, così giunsi a bordo semi congelato. Null’altro da ricordare fino a mezzanotte.
19 e 20 dicembre)
Alle prime ore del mattino giunse ordine di tenerci pronti a muovere, alle 10,20 salpammo insieme all’Incrociatore Bolzano e il Caccio Torpediniere Ascari. La missione era facilissima scortare l’Incrociatore per difenderlo dall’insidia di qualche sommergibile. La navigazione fu breve ma emozionante, più delle altre, dato che l’Incrociatore faceva prova di macchina si navigava oltre le 30 miglia, il mare era calmo si vedevano le scie bianche perdersi nell’immensità del basso Tirreno. Quando eravamo nei pressi delle Lipari si vede l’Incrociatore accostare rabbiosamente, alza il segnale che indicava: “ Sommergibile in vista “, si videro poi tre scie di siluri passare di poppa alla nostra unità che miracolosamente aveva schivato grazie ad un’abile manovra, ad ogni modo la navigazione continua verso le 15, il Bolzano rientrò, noi insieme ad un Caccia Sommergibile e un Torpediniere continuavamo la caccia al metallico pesce, nulla fu più avvistato e sentito, forse perché il sommergibile preferiva restarsene a fondo e non tentare di attaccare con i suoi siluri i caccia, come spesso fanno i nostri sommergibili. Al tramonto rientrammo null’altro da segnalare.
All’alba del 20 dicembre di nuovo si accende, poco dopo si prevedeva l’uscita a largo insieme all’Ascari. Continuammo per qualche tempo la caccia al sommergibile, verso le 11 circa avvistammo gli Incrociatori Trento e il Trieste, il resto della nostra divisione. Ci unimmo ad essi e rientrammo a Messina circa due ore dopo, approdammo in sei ore e quindi andammo a terra, si fece molta baldoria.
21 e 22 dicembre)
Permanenza a Messina, si segue con attenzione l’operazione terrestre sui vari fronti, si desidera la controffensiva ad ogni costo.
23 e 24 dicembre)
Nulla è mutato nei confronti della Marina e delle altre forze armate. Alla sera del 23 dicembre visto e considerato che era impossibile recarmi a casa per il Natale, mi recai a confessarmi, per fare da buon soldato e cristiano in questa memorabile festa. All’alba del 24 dicembre insieme a molti compagni parlammo e svolgemmo i soliti compiti, stando così in santa pace tutto il giorno. Fui di servizio e per questo non potetti scendere nemmeno a terra, mi contentai di cenare con una poco nutriente minestra di riso.
25 dicembre)
Finalmente giunge il 25 dicembre, la festa del Santo Natale, attesa con ansia da centinaia di milioni di fedeli. Questo primo Natale di guerra trovò il popolo italiano fermo nella fede e sicuro nella vittoria finale. Se pur in questi giorni ci furono degli episodi davvero sfortunati per le nostre armi, ecco come io trascorsi questo giorno. Al mattino breve riassetto dei locali, alle 10 vi fu assemblea del comandante, il quale ci fece gli auguri da parte sua e della famiglia, dicendoci tra l’altro che come le nostre madri seguivano con attenzione e cuore in gola l’esito delle azioni di guerra, così faceva anche tutto il popolo italiano. Alle 11 con buona parte dell’equipaggio ci recammo a messa dove c’erano gli equipaggi di tutte le navi che erano in porto. Alle 12,30 pranzo, vi fu una discreta razione, quel giorno non so il perché.
Alle 14 mi recai in una sala cinematografica che era lì nel porto e assistetti ad uno spettacolo cinematografico: “ La figlia del corsaro nero “, alle 18 a bordo nulla di interessante fino a mezzanotte.
dal 26 al 29 dicembre)
Il 26 dicembre tutto si svolse normalmente come pure il mattino del 27, alle 14 di quest’ultimo, giunse ordine di tenersi pronti a muovere in dieci minuti, alle 18,20 salpammo insieme al Caccia Torpediniere di squadriglia, l’Ascari, con moderata velocità ci dirigevamo verso nord. Speravamo tutti che si andasse ai lavori, ma fu una vera illusione, perché la nostra vera missione era quella di andare incontro al R. I. Diaz, che veniva da La Spezia e si dirigeva a Palermo, infatti all’alba del 28 dicembre nei pressi di Gaeta fu avvistato un pennacchio di fumo ……………………………… Vincenzo Monti
La passione incatenata
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