A lungo le passioni sono state condannate come fattore di turbamento o di perdita temporanea della ragione.
Segno manifesto di un potere estraneo alla parte migliore dell’uomo, lo dominerebbero, distorcendone la chiara visione delle cose e sviandone la spontanea propensione al bene.
Agitato, lo specchio d’acqua della mente si intorbidirebbe e si incresperebbe, cessando di riflettere la realtà e impedendo al volere di scorgere alternative alle inclinazioni del momento.
Di fronte alle molteplici strategie elaborate per estirpare, moderare e addomesticare le passioni (e,parallelamente, per conseguire la signoria su se stessi, rendendo coerente l’intelligenza, costante la volontà, robusto il carattere) pare tuttavia lecito chiedersi se l’opposizione ragione/passioni sia in grado di render conto dei fenomeni a cui si riferisce e se sia giusto, in generale, sacrificare le proprie <> in nome di ideali che potrebbero essere veicolo di immotivata infelicità.
Presupporre energie selvagge e brancolanti nel buio (<>), che dovrebbero essere dirette e tenute a freno da un’istanza ordinatrice illuminata (<>), significa infatti prefigurare già un alibi polemico per reprimerle o canalizzarle.
Decretandone la pericolosità e l’incapacità a guidare se stesse, negando loro un intrinseco orientamento e discernimento, si legittima automaticamente la liceità di delegare all’inflessibile potenza imperiale o alla persuasiva severità paternalistica della <> interventi esterni di tutela correttiva.
La subordinazione delle passioni a rigide norme razionali umane e a minacciosi comandamenti divini presenta molteplici inconvenienti, teorici e pratici.
Lo scopo del dominio delle passioni è quello di interiorizzare imperativi sociali e culturali, così da corazzare, immunizzare e mitridatizzare l’individuo (centralizzandone l’io e impegnandone attivamente le energie) dinanzi a potenze effettivamente squilibranti che gli si presentano come straniere, ma che da sempre vivono in lui – sono, anzi, lui – e che per giunta quando si incontrano con quelle di altri uomini, posseggono un chimismo virtualmente esplosivo per l’ordine sociale.
Ma gli obblighi imposti dalla morale e dalla tradizione (resi istituzionalmente accettabili da <> quali i compromessi, le pene e il perdono) entrano in conflitto con altre esigenze e valori, così che le passioni sono spesso messe al bando e costrette a latitare nella clandestinità della coscienza, generando sensi di colpa, rancori, disagi e scontentezze.
Segno manifesto di un potere estraneo alla parte migliore dell’uomo, lo dominerebbero, distorcendone la chiara visione delle cose e sviandone la spontanea propensione al bene.
Agitato, lo specchio d’acqua della mente si intorbidirebbe e si incresperebbe, cessando di riflettere la realtà e impedendo al volere di scorgere alternative alle inclinazioni del momento.
Di fronte alle molteplici strategie elaborate per estirpare, moderare e addomesticare le passioni (e,parallelamente, per conseguire la signoria su se stessi, rendendo coerente l’intelligenza, costante la volontà, robusto il carattere) pare tuttavia lecito chiedersi se l’opposizione ragione/passioni sia in grado di render conto dei fenomeni a cui si riferisce e se sia giusto, in generale, sacrificare le proprie <
Presupporre energie selvagge e brancolanti nel buio (<
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La subordinazione delle passioni a rigide norme razionali umane e a minacciosi comandamenti divini presenta molteplici inconvenienti, teorici e pratici.
Lo scopo del dominio delle passioni è quello di interiorizzare imperativi sociali e culturali, così da corazzare, immunizzare e mitridatizzare l’individuo (centralizzandone l’io e impegnandone attivamente le energie) dinanzi a potenze effettivamente squilibranti che gli si presentano come straniere, ma che da sempre vivono in lui – sono, anzi, lui – e che per giunta quando si incontrano con quelle di altri uomini, posseggono un chimismo virtualmente esplosivo per l’ordine sociale.
Ma gli obblighi imposti dalla morale e dalla tradizione (resi istituzionalmente accettabili da <
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