domenica 15 aprile 2007

La maschera e la faccia.

Le maschere sono i giocattoli dell’Io. Sono facce che si possono indossare, personaggi momentanei, il genere di travestimento più immediato e diffuso. Hanno sempre consentito alla gente di giocare con l’identità.
Come molte altre innovazioni culturali, le maschere risalgono all’alto paleolitico.
I melanesiani, gli aztechi e i nigeriani realizzavano maschere con i crani.
Anche la pelle di esseri umani morti è stata utilizzata come materiale per maschere.
Nessuno sa perché sono nate le maschere. Forse all’inizio servivano durante la caccia, perché facilitavano l’avvicinamento della preda.Può darsi che siano nate da strumenti di un potere sovrumano.
Per molto tempo hanno rappresentato la morte. Le maschere dei morti conservano la somiglianza e possono diventare icone di un nuovo dio-antenato.
Le maschere possono far assumere le caratteristiche dei fantasmi.
Le maschere possono essere abitazioni degli dei.
Questo collegamento con il soprannaturale ha moltissime sfaccettature, e in realtà la maschera è il volto dei sogni. Portandola possiamo essere chiunque desideriamo.
Gli scopi delle maschere si trasformano di continuo, come i desideri delle persone.
Inoltre le maschere hanno svolto svariate funzioni nelle diverse culture, venivano indossate per enfatizzare le danze rituali per spaventare il nemico in battaglia, per placare gli dei, per accompagnare un governante all’altro mondo, e per entrare in comunione con la divinità.
Oggi, in occidente, le maschere spesso celano l’identità anziché trasformarla.
Nella notte di Halloween un bambino si veste come un demone o un cowboy, ma non si comporta nello stesso modo e i frequentatori di feste mascherate adottano un’identità da personaggi teatrali. La faccia non li tradisce più, e i ceppi dell’identità vanno in frantumi. Perciò molti si sentono più liberi, meno responsabili, e lasciano sbocciare le loro personalità segrete. Talvolta una maschera può rivelare una persona.
Il Carnevale è la festa di gala apocalittica di ogni anno, prima del periodo morto della quaresima.
Di recente i veneziani hanno ridato impulso al carnevale che è animato da una folla di turisti mascherati.
Nei banditi europei oltre a nascondere il volto, la maschera segnò l’affermarsi di una moda o almeno di un sistema per distinguere i briganti dal volgo fino al Cinquecento.
Nell’Ottocento, nel West i banditi si coprivano il naso e la bocca con il fazzoletto, un trucco imparato dai minatori, che evitavano così di farsi entrare la polvere in gola.
Per i rapinatori, oggi la maschera è una strumento di lavoro indispensabile, perché esistono le telecamere dei sistemi di sicurezza, la tecnologia per l’identificazione, e una televisione che ha la possibilità di diffondere una fotografia in tutto il pianeta. Di solito i delinquenti indossano oggetti facili da trovare in commercio, come maschere di Halloween, passamontagna e calze di nylon.
Non potremmo percepire o riconoscere i nostri simili se non potessimo cogliere l’essenziale e separarlo dall’accidentale.
Comunque sia la struttura di base della nostra faccia non rimane statica perché essa cambia durante la vita di giorno in giorno e di anno in anno. Meglio conosciamo una persona, più spesso ne vediamo la faccia, e meno notiamo questa trasformazione.
Tuttavia nessuna crescita o decadimento può distruggere l’unità dell’aspetto individuale.
Molti di noi sarebbero incapaci di descrivere i singoli tratti dei nostri amici più intimi, il colore degli occhi, l’esatta forma del naso, ma questa incertezza non pregiudica il nostro sentimento di aver familiari i loro tratti, che riusciremmo a isolare tra mille, perché rispondiamo alla loro espressione caratteristica. C’è una sorta di espressione generale dominante.
La ripresa cinematografica non può mai essere così insufficiente come l’istantanea, perché anche se coglie una persona mentre strizza l’occhio o starnutisce, la sequenza spiega la smorfia che ne risulta, mentre nella istantanea corrispondente non sarebbe possibile interpretarla.
Considerato da questo punto di vista, sia la macchina fotografica sia il pennello possono fare astrazione del movimento e tuttavia produrre un’immagine convincente non solo della maschera ma anche della faccia, dell’espressione viva.
Tendiamo a proiettare vita e espressione sull’immagine arrestata e ad aggiungere in base alla nostra esperienza ciò che non è presente. Perciò il ritrattista che voglia compensare la mancanza di movimento deve innanzitutto mobilitare la nostra proiezione. Egli deve sfruttare le ambiguità della faccia immobilizzata in modo che le molteplicità delle possibili letture diano luogo alla parvenza di vita.

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